La mia Terra di Mezzo

Tra un fonendo ed una tazza, scorre la mia Terra di Mezzo, il mio presente.....Le porte? Si possono aprire, spalancare sul mondo, ma si possono anche chiudere, per custodire preziosi silenzi e recondite preghiere....





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mercoledì 26 settembre 2018

La preghiera di Papa Leone XIII

Qualche nota sull'orazione all’Arcangelo San Michele di Papa Leone XIII.
 
Il 13/10/1884, dopo la Santa Messa mattutina, Papa Leone XIII fu traumatizzato al punto di svenire. Coloro che si trovavano in sua presenza pensarono che egli fosse morto. Una volta ripresa conoscenza il Papa descrisse una spaventosa conversazione da lui udita, provenuta dal fianco del tabernacolo. Tale conversazione fu delineata da 2 voci, voci le quali Papa Leone XIII comprese essere chiaramente quelle di Gesù Cristo e del Diavolo.

Il Diavolo si vantò di potere distruggere la Chiesa Cattolica, a patto che gli fossero stati concessi 75 anni -100 anni onde svolgere il suo piano. Il Diavolo domandò ancora il permesso di operare una grande influenza sopra coloro che si sarebbero offerti al suo servizio. Alle richieste del Diavolo nostro Signore Gesù Cristo apparentemente rispose:
“Ti saranno concessi il tempo ed il potere.”
 
Turbato profondamente da ciò che egli aveva udito Papa Leone XIII compose l'Orazione a San Michele, ordinando che essa venisse recitata al termine di tutte le Sante Messe come protezione per la Chiesa Cattolica dagli attacchi provenienti dall’Inferno.
 
Orazione originale all’Arcangelo San Michele di Papa Leone XIII:
 
“O glorioso Arcangelo San Michele, principe dell’armata Celeste, sii tu la nostra difesa nella terribile guerra che noi conduciamo contro i principati e le podestà, contro i regnanti di questo mondo di tenebre, di spiriti e di male. Giunga tu in aiuto dell’uomo, il quale Iddio creò immortale, fatto nella Sua medesima immagine e somiglianza, e redense a sì gran prezzo dalla tirannia del Diavolo.

Che tu combatta in questo giorno la battaglia del Signore, assieme agli angeli santi, come già tu combattesti la guida degli angeli superbi, Lucifero e la sua armata apostatica, i quali furono impotenti onde poterti resistere, né fuvvi più per loro posto nel Cielo.
 
Quel crudele, quell’antico serpente, il quale è appellato Diavolo o Satana, il quale seduce il mondo intero, fu spedito negli abissi con i suoi angeli. Ecco, questo primevo nemico ed uccisore degli uomini ha acquisito coraggio. Trasformato in un angelo di luce egli vagabonda in giro assieme alla moltitudine di spiriti malvagi, invadendo la Terra di modo da offuscare il nome di Dio e del Suo Cristo, di modo da sequestrare, uccidere e spedire alla perdizione eterna le anime destinate alla corona della gloria eterna. Questo malvagio dragone rovescia, come il più impuro dei diluvi, il veleno della sua malizia sugli uomini di mente depravata e di cuore corrotto, lo spirito della menzogna, dell’empietà, della blasfemia ed il pestilenziale alito dell’impurità e di ogni vizio ed iniquità.
 
Questi sì astuti nemici hanno riempito ed inebriato con impudenza ed amarezza la Chiesa, la Sposa dell’immacolato Agnello, ed hanno posto empie mani sui suoi più sacri possedimenti. Nel luogo santo medesimo, nel quale è stata stabilita la Sede del beatissimo Pietro e la sedia della Verità per la luce del mondo, essi hanno innalzato il trono della loro abominevole empietà, con l’iniquo piano per il quale allorché il Pastore viene colpito le pecore siano disperse.
 
Che tu salga, dunque, o invincibile principe, che tu voglia recare aiuto contro gli attacchi degli spiriti perduti al popolo di Dio, donando loro la vittoria. Essi venerano te come il loro protettore e patrono; in te la Santa Chiesa gloria la sua difesa contro il malizioso potere dell’Inferno; a te ha Iddio ha affidato le anime degli uomini da stabilirsi nella Celeste beatitudine. Deh, che tu voglia pregare il Dio della pace acciocché Egli ponga Satana sotto i nostri piedi, talmente conquistato che egli non tenga più gli uomini in cattività e non nuoccia più la Chiesa. Che tu offra le nostre orazioni dinnanzi all’Altissimo, cosicché esse siano velocemente conciliate con le pietà del Signore, e sconfiggendo il dragone, l’antico serpente, il quale è il Diavolo e Satana, che tu lo renda ancora cattivo negli abissi, talché egli non seduca più le nazioni. Amen.
 
Ecco la Croce del Signore; siate disperse voi ostili potenze. Il Leone della tribù di Giuda ha conquistato la radice di Davide. Voglia Tu lasciare che le Tue pietà siano su di noi, o Signore. In quanto noi abbiamo sperato in Te. O Signore, oda Tu la mia preghiera. Voglia Tu lasciare che il mio grido giunga a Te.
 
Preghiamo.
 
O Iddio, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, noi invochiamo il Tuo santo nome e come supplicanti noi imploriamo la Tua clemenza, affinché mediante le intercessioni di Maria, sempre Vergine immacolata e nostra Madre, e del glorioso Arcangelo San Michele, Tu ci degni del Tuo aiuto contro Satana e tutti gli altri spiriti immondi, i quali girovagano nel mondo per l’ingiuria della razza umana e la rovina delle anime. Amen.”

 Papa Leone XIII previde e predisse la grande apostasia, scandendo che tale apostasia sarebbe stata guidata da Roma, la quale sola è il luogo santo medesimo, nel quale è stata stabilita la Sede del beatissimo Pietro e la sedia della Verità per la luce del mondo. Papa Leone XIII previde chiaramente che tale luogo, la Città del Vaticano in Roma, Italia, nel quale fu stabilita la sedia Petrina dal primo Papa, San Pietro medesimo, sarebbe divenuto il trono dell’abominevole empietà di Satana, con l’iniquo piano per il quale allorché il Pastore [il vero Papa] viene colpito e le pecore [i fedeli Cattolici] siano disperse. Tali furono le parole di Papa Leone XIII.
 
Papa Leone XIII non predisse la defezione della Chiesa Cattolica, di per sé impossibile, giacché i cancelli dell’Inferno possono giammai prevalere sulla Chiesa Cattolica (Matteo 16), né la defezione della sedia Petrina, altrettanto impossibile (Luca 22), egli bensì predisse l’implementazione di un’apostatica e contraffatta religione Cattolica da Roma, Italia, per la quale il pastore, il vero Papa, sarebbe stato rimpiazzato da un usurpante Antipapa, come talora accaduto nella storia della Chiesa Cattolica, con l’iniquo piano donde le pecore fossero disperse.
 
La preghiera di Papa Leone XIII vaticinò ancora che gli impuri apostati di Satana avrebbero posto mani empie sui possedimenti più sacri della Chiesa Cattolica. Quali sono i possedimenti più sacri della Chiesa Cattolica? Essi sono quelle cose che il Cristo le ha affidato, in altre parole, il deposito della Fede Cattolica, assieme a tutti i suoi dogmi, ed i 7 Sacramenti istituiti da nostro Signore Gesù Cristo stesso. Laonde, l’orazione di Papa Leone XIII vaticinò la tentata distruzione del deposito della Fede Cattolica.
 
Nel 1934 la sconvolgente orazione di Papa Leone XIII, fu mutata senza spiegazioni. La frase chiave riferentesi all’apostasia proveniente da Roma, Italia, il luogo santo, nel quale la Sede di San Pietro fu stabilita per la luce del mondo, venne rimossa. Intorno allo stesso periodo, morto Papa Leone XIII, dunque, l’uso dell’orazione originale a San Michele di Papa Leone XIII dopo ciascuna Santa Messa venne sostituita con una totalmente nuova. 
 
L’orazione originale di Papa Leone XIII a San Michele calza anche precisamente con la famosa apparizione, e predizione, di nostra Signora di La Salette, Francia, del 1846: “Roma perderà la Fede e diverrà la sede dell’Anticristo… la Chiesa sarà eclissata”. Le parole di Papa Leone XIII indicano che l’Anticristo medesimo, o quantomeno le forze dell’Anticristo, avrebbe stabilito la propria sede a Roma, Italia:
“Nel luogo santo medesimo, nel quale è stata stabilita la Sede del beatissimo Pietro… essi hanno innalzato il trono della loro abominevole empietà…“.

Tratto da QUI

venerdì 21 settembre 2018

Parole vuote di chi non ha nulla da dire?

 
Chi è alla ricerca di un rimedio per l’insonnia potrebbe provare a usare l’Instrumentum laboris, o «documento di lavoro», per la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà a Roma il mese prossimo sul tema Giovani, fede e discernimento vocazionale.
Che il ponderoso documento possa aiutare chi soffre d’insonnia non lo dico io: lo dice George Weigel (QUI), il quale, su First Things, non esita a definire il testo «un mattone», un grosso e noiosissimo «fermaporta»  pieno di luoghi comuni sociologici ma del tutto carente di intuizioni spirituali o teologiche.
 
L’Instrumentum  laboris, in effetti, dice poco o nulla sulla fede e sembra uscito dalla penna di qualcuno che prova un certo imbarazzo di fronte all’insegnamento cattolico.
 
Il filo conduttore è l’ascolto: la Chiesa non dovrebbe far altro che ascoltare. Ma a quale scopo? La risposta è che si tratta di aiutare a discernere, accompagnare e camminare insieme ai giovani. Tuttavia non si dice mai, o si dice in modo assai contorto, dove tutto questo ascolto, questo discernere, questo accompagnare e questo camminare dovrebbero condurre.
«Un testo gigantesco come questo – osserva Weigel – non può seriamente essere considerato una base di discussione per il sinodo. Nessun testo di oltre trentamila parole, anche se scritto in uno stile scintillante e irresistibile, può essere una guida alla discussione».
In effetti qui di scintillante non c’è niente. In compenso c’è un refrain che torna in continuazione, una sorta di mantra che il documento vuole inculcare nella mente del malcapitato lettore: quello della «Chiesa in uscita». Ma che cosa significa?
Uno dei passi in cui sembra arrivare una spiegazione (siamo nella sezione Il discernimento come stile di una Chiesa in uscita) si esprime così: «In questa prospettiva, “scegliere” non significa dare risposte una volta per tutte ai problemi incontrati, ma innanzi tutto individuare passi concreti per crescere nella capacità di compiere come comunità ecclesiale processi di discernimento in vista della missione».
Chiaro, no?
Ed ecco qui la spiegazione della spiegazione: «In questo movimento la Chiesa non potrà che assumere il dialogo come stile e come metodo, favorendo la consapevolezza dell’esistenza di legami e connessioni in una realtà complessa ma che sarebbe riduttivo considerare composta di frammenti, e la tensione verso una unità che, senza trasformarsi in uniformità, permetta la confluenza di tutte le parzialità salvaguardando l’originalità di ciascuna e la ricchezza che essa rappresenta per il tutto».
 
Ha ragione Weigel: fa dormire. Ma fa anche venire il mal di testa.
Quindi, si chiede Weigel (e il sottoscritto con lui) che cosa potrebbero fare i partecipanti al sinodo del prossimo ottobre per avere una discussione degna di questo nome e non la semplice ripetizione di formule sulla Chiesa in uscita, il discernimento e l’accompagnamento?
Beh, prima di tutto potrebbero sfidare l’affermazione, ripetuta nell’Istrumentum laboris fino alla nausea, secondo la quale i giovani vogliono una «Chiesa che ascolti». Che i giovani, ma anche i meno giovani, vogliano una Chiesa capace di ascoltare è del tutto ovvio, ma soprattutto vorrebbero una Chiesa capace di dare risposte. Ciò che i giovani, ma anche i meno giovani, desiderano, specie in un’epoca così confusa come la nostra, è che la Chiesa insegni chiaramente, indichi che cos’è la santità, dica in modo rigoroso e onesto qual è la strada per la salvezza eterna.
 
I partecipanti al sinodo, suggerisce poi Weigel, potrebbero anche sottolineare che i giovani d’oggi non sono attratti dalle analisi in sociologhese (nelle quali si avverte il retrogusto del linguaggio usato dai figli del Sessantotto), ma da un insegnamento pienamente cattolico, specie sui temi della vita. E cattolico vuol anche dire pulito, fresco, privo di ambiguità, diverso dall’incoerenza e dalla confusione dilaganti.
Purtroppo, al contrario, l’Instrumentum laboris «tradisce un inacidito senso di incapacità, persino di insuccesso», e in effetti sembra scritto da qualcuno che non crede, o crede molto poco, alla possibilità che la Chiesa abbia davvero qualcosa da dire ai giovani.
In nessuna pagina si trovano motivi di speranza, né si dice mai che i giovani del nostro tempo non chiedono un generico accompagnamento, ma risposte solide in termini dottrinali e morali, così da poter davvero orientare la propria vita. E non si fa menzione delle tante esperienze spirituali che giovani di ogni parte del mondo vivono proprio all’insegna di una ricerca spirituale seria, consapevole, fondata non sulla sociologia ma sulla legge divina.
 
Quando il documento parla di identità sembra quasi che se ne vergogni, per cui ecco l’espressione «identità dinamica». Ma che vuol dire?  Sentiamo: l’identità dinamica è quella che «spinge la Chiesa in direzione del mondo, la rende Chiesa missionaria e in uscita, non abitata dalla preoccupazione di essere il centro, ma da quella di riuscire, con umiltà, a essere fermento anche al di là dei propri confini, consapevole di avere qualcosa da dare e qualcosa da ricevere nella logica dello scambio di doni».
Essere fermento di che cosa e per che cosa? Quali i doni da dare e da scambiare? Perché andare in direzione del mondo? Per arrivare a che cosa? Non si dice.
 
Al centro del sinodo ci sarà, o ci dovrebbe essere, l’idea di vocazione. Dal documento preparatorio, dunque, uno si aspetterebbe espressioni tali da far apprezzare la chiamata di Dio. E invece ecco come una parola bella e ricca quale «vocazione» viene spenta e resa quasi antipatica dalla prosa in sociologhese: «Nella fase della giovinezza prende corpo la costruzione della propria identità. In questo tempo, segnato da complessità, frammentazione e incertezza per il futuro, progettare la vita diventa faticoso, se non impossibile. In questa situazione di crisi, l’impegno ecclesiale è molte volte orientato a sostenere una buona progettualità. Nei casi più fortunati e laddove i giovani sono più disponibili, questo tipo di pastorale li aiuta a scoprire la loro vocazione, che rimane, in fondo, una parola per pochi eletti e dice il culmine di un progetto».
Viene voglia di fare coraggio all’anonimo estensore del documento: ehi amico, forza, non abbatterti, in fondo la vocazione è una cosa bella! Sursum corda!
Ma è inutile aspettarsi qualche sprazzo di entusiasmo. Al lettore sono propinate soltanto formule da Comitato centrale del Pcus buonanima. Tipo questa: «Per essere generativo l’accompagnamento al discernimento vocazionale non può che assumere una prospettiva integrale». Applausi dei compagni delegati. E mal di testa in aumento.
 
Domanda: e se invece di produrre questo mattone indigeribile, questo Instrumentum doloris,  si fosse pubblicata la vita di una santo, o magari di più santi? Certamente i giovani avrebbero capito molto meglio che cos’è la vocazione e quanto possa essere bella.
 
Il documento stesso, proprio alla fine, in un  sussulto di resipiscenza (sebbene con il solito stile da grigio comunicato del Soviet supremo), lo riconosce: «Merita anche ricordare che accanto ai “Santi giovani” vi è la necessità di presentare ai giovani la “giovinezza dei Santi”. Tutti i Santi, infatti, sono passati attraverso l’età giovanile e sarebbe utile ai giovani di oggi mostrare in che modo i Santi hanno vissuto il tempo della loro giovinezza. Si potrebbero così intercettare molte situazioni giovanili non semplici né facili, dove però Dio è presente e misteriosamente attivo. Mostrare che la Sua grazia è all’opera attraverso percorsi tortuosi di paziente costruzione di una santità che matura nel tempo per tante vie impreviste può aiutare tutti i giovani, nessuno escluso, a coltivare la speranza di una santità sempre possibile».
Oh, ecco! Bastava dire questo (magari con un pochino di entusiasmo in più) e il gioco era fatto, senza ricorrere a trentamila sfumature di grigio.
Ma forse sarebbe sembrato un messaggio un po’ troppo cattolico.
 
Aldo Maria Valli QUI
 

lunedì 17 settembre 2018

Il Papa: è supremo pastore

E’ incontestabile che Gesù abbia voluto un capo per la sua Chiesa e che lo scelse nella persona di Pietro. A tal riguardo l’episodio di cesarea di Filippo è chiarissimo:  “Ed io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...A te darò le chiavi del regno dei cieli, e quanto tu legherai sopra la terra, sarà legato nei cieli, e quanto tu scioglierai sopra la terra sarà sciolto nei cieli.” (Matteo 16, 13-19).
Ma vediamo però se i Vangeli in altre loro parti confermano questa scelta. 
 
- Prima della sua Passione, Gesù avverte gli apostoli che Satana tenderà loro gravi insidie ma aggiunge però di aver pregato per la fede di Pietro, garantendo che questa non verrà mai meno, perché a Pietro è affidato l’incarico di confermare nella fede gli altri apostoli. Più chiaro di così.
 
Pietro ha il compito di confermare nella fede: “Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli.” (Luca 22, 15-17)
 
- Dopo la resurrezione, Gesù conferma Pietro capo della Chiesa, malgrado questi lo avesse rinnegato per tre volte (poi faremo una considerazione su questo). Infatti, Gesù chiede per tre volte a Pietro se lo amasse davvero e Pietro per ben tre volte risponde affermativamente. Ma le parole interessanti ai fini di ciò che stiamo dicendo è quando Gesù gli dà l’incarico di “pascere le sue pecorelle”; parole queste che chiaramente alludono ad un potere di giurisdizione da parte di Pietro: “Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?’ Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu lo sai che ti amo .’ Gli disse ‘Pasci i miei agnelli.’ Gli disse di nuovo: ‘Simone di Giovanni, mi ami?’ Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu lo sai che ti amo.? Gli disse: ‘Pasci le mie pecorelle’. Gli disse per la terza volta: ‘Simone di Giovanni, mi ami?’ Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: ‘Mi ami?’, e gli disse: ‘Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo .’ Gli rispose Gesù: ‘Pasci le mie pecorelle.” (Giovanni 21, 15-17)
 
Ma -ci chiedevamo- i Vangeli davvero sviluppano la loro narrazione confermando questa scelta di Pietro come capo della Chiesa? La risposta è senz’altro affermativa. Si può dire che la posizione preminente di Pietro è chiara in ogni pagina del Vangelo laddove si parla degli apostoli.
 
- Quando gli Apostoli vengono elencati, il nome di Pietro compare sempre per primo. Da san Matteo è chiamato chiaramente “il primo”, malgrado non sia stato il primo ad essere stato scelto come apostolo da Gesù. (cfr. Matteo 10, 2)
 
- Nei quattro Vangeli e negli Atti, Pietro viene nominato ben 195 volte. Giovanni è nominato solo 29 volte e gli altri apostoli ancora meno.
 
- Gesù fa l’onore di salire sulla barca di Pietro, di abitare nella sua casa e di pagare il tributo per sé e per lui.
 
- Pietro parla spesso a nome di tutti gli apostoli.
 
Dunque i Vangeli a tal riguardo sono molto chiari. Adesso però andiamo ad indagare fino a che punto e da quando si è esercitato il cosiddetto “primato  petrino”. Chi infatti lo vuole negare, afferma che esso è venuto fuori nella storia come una sorta di “invenzione posticcia”. Vediamo come stanno davvero le cose.
 
- I primi dodici capitoli degli Atti degli Apostoli dimostrano che Pietro sin dal primo giorno agì come capo della Chiesa e come capo fu riconosciuto da tutti.  E’ Pietro che subito dopo l’Ascensione di Gesù propone di sostituire Giuda con un altro apostolo, che poi sarà Mattia. (cfr. Atti 1, 15-26) E’ Pietro che fa il primo discorso il giorno di Pentecoste e converte circa tremila persone. (Cfr. Atti 2, 14-36) E’ Pietro che per primo compie miracoli (la guarigione dello storpio alla porta del Tempio). (Cfr. Atti 3, 1-10) E’ sempre Pietro che rivendica dinanzi ai membri del Sinedrio il diritto da parte degli apostoli di evangelizzare. (cfr. Atti 4, 1-12) E’ a Pietro che il Signore annuncia -con una visione- che è ormai venuto il tempo di accogliere i gentili nella Chiesa. (Cfr. Atti 10, 11-15) E’ Pietro che per primo li accoglie battezzando il centurione Cornelio e la sua famiglia. (Cfr. Atti 10, 48) E’ Pietro che parla per primo (e tutti acconsentono alle sue parole) al Concilio di Gerusalemme. (cfr. Atti 11, 1-18) E’ Pietro che visita (oggi potremmo dire “ispeziona”) le chiese fondate dagli altri apostoli. E’ Pietro che viene cercato da Paolo affinché questi si senta autorizzato ad iniziare la sua predicazione.
 
- I Vescovi di Roma si sono sempre ritenuti e hanno sempre dichiarato di essere i successori di Pietro. Inoltre, nessuno ha mai affermato nell’antichità che il successore di Pietro fosse qualcun altro e non il vescovo di Roma.
 
- Ancora non si è alla fine del I secolo, che papa Clemente (terzo successore di Pietro), in una sua lettera ai cittadini di Corinto, interviene per decidere dall’alto della sua autorità una grossa questione sorta in quella città. Scrive:“Se vi saranno alcuni che non obbediranno a ciò che il Cristo ha detto per mezzo nostro, sappiano che si espongono a una colpa e un pericolo grave.” (I lettera ai Corinzi, 63, 2-3) E questo -badate bene- quando ancora era vivo l’apostolo Giovanni.
 
- Papa Vittore (II secolo) impone a tutte le chiese la sua decisione nella controversia riguardante la celebrazione della Pasqua.
 
- Papa Stefano (metà del III secolo) s’impone a tutti nella controversia riguardante il battesimo degli eretici.
 
- Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, verso l’anno 110, mentre viene condotto prigioniero a Roma, scrive da Smirne una lettera nella quale afferma chiaramente il primato della Chiesa di Roma su tutte le altre chiese. Egli parla della Chiesa di Roma come la Chiesa che “presiede alla purezza della fede e alla carità universale.”(Lettera ai Romani, Prologo)
 
- Nel II secolo, sant'Ireneo, vescovo di Lione, così scrive nella sua opera Adversus haereses: “E’ con la Chiesa di Roma, a causa dell’alta sua preminenza, che si deve accordare ogni altra Chiesa, ed è per mezzo della comunione con essa che i fedeli di ogni paese hanno conservato la Tradizione apostolica.” (III, 3, 2)
 
- San Cipriano (metà del III secolo) afferma che la chiesa di Roma è radice e madre di tutte le chiese.
 
- Costantemente si ricorreva ai Vescovi di Roma (paradossalmente anche da parte degli eretici) per la soluzione di controversie che di volta in volta venivano a crearsi. Controversie non solo nelle comunità occidentali, ma anche in quelle dell’oriente.
 
- Tutti gli antichi concili ecumenici (tutti, anche quelli in cui il Papa non fu presente) affermano il primato del Vescovo di Roma. Quello famoso di Nicea (325) affermò che la Chiesa di Roma aveva sempre avuto il primato. Quel concilio fu presieduto dai legati di papa Silvestro. Il settimo concilio ecumenico (che ebbe luogo sempre a Nicea nel 787) dichiarò: “La sede di Pietro tiene il primato su tutta la terra e sta a capo di tutte le chiese di Dio.”
 
- Questo primato del Vescovo di Roma venne riconosciuto tutte le volte che (anche se per breve tempo) le chiese scismatiche d’oriente si riunirono con la Chiesa cattolica. Ci riferiamo al Concilio di Lione del 1274 e al Concilio di Firenze del 1439.
 
- Per finire va detto che il riconoscimento universale del primato del Vescovo di Roma su tutti gli altri vescovi durò per ben dieci secoli. Certamente, con la scelta di Costantinopoli a capitale dell’Impero, fatta da Costantino nel 330, i vescovi di quella città iniziarono ad ambire al titolo di “patriarca” pretendendo di avere nella Chiesa universale il secondo posto in dignità dopo quello del Vescovo di Roma. Ma ciò è ben altra cosa dal negare il Primato Petrino.
 
Chiediamoci adesso: ma Pietro è stato davvero a Roma? Ci sono prove a riguardo? Senz’altro. Pochi anni dopo la resurrezione di Gesù, precisamente nell’anno 41, Pietro arrivò a Roma e ne divenne il primo vescovo. Dopo 20 anni di attività, fu martirizzato sul colle Vaticano durante la persecuzione di Nerone. Lo storico Eusebio di Cesarea ci racconta che Pietro, non ritenendosi degno di fare la stessa morte di Gesù, chiese ed ottenne di essere crocifisso a testa in giù. Il suo corpo fu riposto sullo stesso colle Vaticano in un cimitero che già esisteva. In corrispondenza della sepoltura fu costruito l’altare prima della Basilica costantiniana poi di quella michelangiolesca. Tra gli anni ’50 e ’60, grazie al prezioso lavoro dell’archeologa Margherita Guarducci, è stato ritrovato il corpo dell’Apostolo dando conferma definitiva alla tradizione.
 
Adesso tocchiamo un altro argomento. La questione dell’infallibilità del Papa. Prima di capire in che cosa essa consista, diciamo subito che non è affatto un’“invenzione” della Chiesa così come si afferma da molti parti, tanto protestantiche quanto laiciste.
 
Torniamo all’episodio di Cesarea di Filippo. Gesù loda chiaramente Pietro dicendogli: “Beato te, Simone figlio di Giovanni, perché queste cose non te le ha rivelate né il sangue né la carne, ma il padre mio che è nei cieli.” Il che vuol dire che Simone, se avesse voluto dire queste cose da se stesso, si sarebbe trovato nelle stesse difficoltà di rispondere in cui si sono trovati i suoi compagni. Egli tanto ha risposto esattamente perché glielo ha rivelato Dio. Dunque, Pietro, all’interno del collegio apostolico, è oggetto di una particolare rivelazione da parte di Dio, una particolare rivelazione che gli altri apostoli non hanno. E subito dopo Gesù aggiunge: “E io ti dico che tu sei cefa ecc…” Ora, queste parole sono chiaramente un’attestazione dell’infallibilità di Pietro e dei suoi legittimi successori. Attenzione però. Lo stesso Pietro arriverà a rinnegare Gesù per ben tre volte: peccato gravissimo. Ebbene, Gesù, dopo la resurrezione, riconfermerà Pietro capo della Chiesa. Questo vuol dire che il Vangelo stesso distingue tra infallibilità dottrinale e fallibilità comportamentale. Il Papa è sì infallibile dottrinalmente (in alcune condizioni che adesso vedremo) ma non a livello comportamentale. Anzi, da questo punto di vista –Dio non voglia- un papa potrebbe anche dannarsi.
 
Ma adesso vediamo perché, in che cosa e quando il Papa è infallibile.
Prima di tutto perché il Papa è infallibile.
 
- Per esplicita volontà di Gesù. Egli infatti l’ha posto come pietra fondamentale della sua Chiesa (Cfr. Matteo 16, 16), come supremo pastore del gregge cristiano (Cfr. Giovanni 20, 15-17) e come colui che deve confermare nella fede i suoi fratelli senza che (particolare importante) la sua fede possa venir meno. (cfr. Luca 22, 32)
 
- La stessa struttura della Chiesa richiede l’infallibilità del suo capo. Se infatti il Papa potesse errare, la Chiesa lo dovrebbe seguire e dunque cadrebbe in errore. Allora -dovremmo chiederci- perché Gesù è arrivato a dire che la Chiesa poggia sulla pietra di Pietro?
 
Veniamo a conoscere quando il Papa è infallibile.
 
- Quando vuole chiaramente “definire” una verità che ha relazione con la fede e i costumi.
- Quando parla in qualità di pastore e maestro supremo di tutti i cristiani.
 
A chi obietta dicendo che alcuni papi si sono comportati in maniera indegna, bisogna rispondere ciò che abbiamo già detto, ovvero che un conto è l’infallibilità dottrinale altro la fallibilità comportamentale.
 
Adesso leggiamo il testo con cui il 18 luglio 1870 il Concilio Vaticano I decretò l’infallibilità pontificia: “Definiamo che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, vale a dire quando, compiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani e facendo uso della sua suprema autorità apostolica, definisce doversi tenere da tutta la Chiesa una dottrina circa la fede e i costumi, per l’assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, gode della stessa infallibilità di cui il divin Redentore volle fosse munita tutta la Chiesa.”
 
Corrado Gnerre
Tratto da  QUI