La mia Terra di Mezzo

Tra un fonendo ed una tazza, scorre la mia Terra di Mezzo, il mio presente.....Le porte? Si possono aprire, spalancare sul mondo, ma si possono anche chiudere, per custodire preziosi silenzi e recondite preghiere....





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martedì 21 luglio 2020

Discontinuità del Magistero

 
Non può che ingenerare ancora più confusione nei fedeli il fatto che un Papa parli della legge morale – già codificata dalla Chiesa da secoli in dogmi e disposizioni canoniche – come di qualcosa di “astratto” che non si può applicare a situazioni “concrete”. Peggio ancora, parla di situazioni “concrete” che oggi sarebbero diverse da quelle di ieri, per cui sarebbe legittimo fare oggi il contrario di quello che ha prescritto il magistero solenne e ordinario della Chiesa fino a ieri.

In realtà, l’unica differenza tra ieri e oggi che può essere significativa per la pastorale è che molti fedeli hanno una coscienza obnubilata dall’ignoranza religiosa e dai vizi, e per questo non avvertono più il loro peccato come volontaria infrazione delle norme morali, oppure non riescono ad applicare correttamente la regola morale (naturale ed evangelica) alla loro personale situazione. Ma se il Papa volesse  davvero assecondare con la nuova prassi del “caso per caso” l’insensibilità degli uomini del nostro tempo nei confronti del “piano d’amore di Dio”, allora avrebbero ragione coloro che hanno visto la sua Esortazione come una resa totale del Magistero all’opinione pubblica, alla secolarizzazione, alla teologia progressista che esalta il soggettivismo (quella che afferma che ogni soggetto è in buona fede, e la Chiesa deve confermarlo nella sua infondata presunzione di essere in grazia!). (Mons. Antonio Livi)

 

giovedì 16 luglio 2020

De Maria numquam satis!

 
Sua Santità PIO XII
LETTERA ENCICLICA
AD CAELI REGINAM 
DIGNITÀ REGALE DELLA SANTA VERGINE MARIA
 
Fin dai primi secoli della chiesa cattolica il popolo cristiano ha elevato supplici preghiere e inni di lode e di devozione alla Regina del cielo, sia nelle circostanze liete, sia, e molto più, nei periodi di gravi angustie e pericoli; né vennero meno le speranze riposte nella Madre del Re divino, Gesù Cristo, mai s'illanguidì la fede, dalla quale abbiamo imparato che la vergine Maria, Madre di Dio, presiede all'universo con cuore materno, come è coronata di gloria nella beatitudine celeste.
Ora, dopo le grandi rovine che, anche sotto i Nostri occhi, hanno distrutto fiorenti città, paesi e villaggi; davanti al doloroso spettacolo di tali e tanti mali morali, che si avanzano paurosamente in limacciose ondate, mentre vediamo scalzare le basi stesse della giustizia e trionfare la corruzione, in questo incerto e spaventoso stato di cose, Noi siamo presi da sommo dispiacere e perciò ricorriamo fiduciosi alla Nostra regina Maria, mettendo ai piedi di lei, insieme col Nostro, i sentimenti di devozione di tutti i fedeli, che si gloriano del nome di cristiani.
È gradito e utile ricordare che Noi stessi, il 1° novembre dell'anno santo 1950, abbiamo decretato, dinanzi a una grande moltitudine di em.mi cardinali, di venerandi vescovi, di sacerdoti e di cristiani, venuti da ogni parte del mondo, il dogma dell'assunzione della beatissima vergine Maria in cielo,(2) dove, presente in anima e corpo, regna tra i cori degli angeli e dei santi, insieme al suo unigenito Figlio. Inoltre, ricorrendo il centenario della definizione dogmatica fatta dal Nostro predecessore, Pio IX, di imm. mem., sulla Madre di Dio concepita senza alcuna macchia di peccato originale, abbiamo indetto l'anno mariano,(3) nel quale con gran gioia vediamo che non solo in questa alma città - specialmente nella Basilica Liberiana, dove innumerevoli folle continuano a professare apertamente la loro fede e il loro ardente amore alla Madre celeste - ma anche in tutte le parti del mondo la devozione verso la Vergine, Madre di Dio, rifiorisce sempre più; mentre i principali santuari di Maria hanno accolto e accolgono ancora pellegrinaggi imponenti di fedeli devoti.
Tutti poi sanno che Noi, ogni qualvolta Ce n'è stata offerta la possibilità, cioè quando abbiamo potuto rivolgere la parola ai Nostri figli, venuti a trovarci, e quando abbiamo indirizzato messaggi anche ai popoli lontani per mezzo delle onde radiofoniche, non abbiamo cessato di esortare tutti coloro, ai quali abbiamo potuto rivolgerCi, ad amare la nostra benignissima e potentissima Madre di un amore tenero e vivo, come conviene a figli. In proposito, ricordiamo particolarmente il radiomessaggio, che abbiamo indirizzato al popolo portoghese, nell'incoronazione della taumaturga Madonna di Fatima,(4) da Noi stessi chiamato radiomessaggio della «regalità» di Maria.(5)
Pertanto, quasi a coronamento di tutte queste testimonianze della Nostra pietà mariana, cui il popolo cristiano ha risposto con tanta passione, per concludere utilmente e felicemente l'anno mariano che volge al termine e per venire incontro alle insistenti richieste, che Ci sono pervenute da ogni parte, abbiamo stabilito di istituire la festa liturgica della «beata Maria vergine regina».
Non si tratta certo di una nuova verità proposta al popolo cristiano, perché il fondamento e le ragioni della dignità regale di Maria, abbondantemente espresse in ogni età, si trovano nei documenti antichi della chiesa e nei libri della sacra liturgia.
Ora vogliamo richiamarle nella presente enciclica per rinnovare le lodi della nostra Madre celeste e per renderne più viva la devozione nelle anime, con vantaggio spirituale.
 
I
Il popolo cristiano ha sempre creduto a ragione, anche nei secoli passati, che colei, dalla quale nacque il Figlio dell'Altissimo, che «regnerà eternamente nella casa di Giacobbe» (Lc 1, 32), (sarà) «Principe della pace» (Is 9, 6), «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19, 16), al di sopra di tutte le altre creature di Dio ricevette singolarissimi privilegi di grazia. Considerando poi gli intimi legami che uniscono la madre al figlio, attribuì facilmente alla Madre di Dio una regale preminenza su tutte le cose.
Si comprende quindi facilmente come già gli antichi scrittori della chiesa, avvalendosi delle parole dell'arcangelo san Gabriele, che predisse il regno eterno del Figlio di Maria (cf. Lc 1, 32-33), e di quelle di Elisabetta, che s'inchinò davanti a lei, chiamandola «madre del mio Signore» (Lc 1, 43), abbiano, denominando Maria «madre del Re» e «madre del Signore», voluto significare che dalla regalità del Figlio dovesse derivare alla Madre una certa elevatezza e preminenza.
Pertanto sant'Efrem, con fervida ispirazione poetica, così fa parlare Maria: «Il cielo mi sorregga con il suo braccio, perché io sono più onorata di esso. Il cielo, infatti, fu soltanto tuo trono, non tua madre. Ora quanto è più da onorarsi e da venerarsi la madre del Re del suo trono!».(6) E altrove così egli prega Maria: «... vergine augusta e padrona, regina, signora, proteggimi sotto le tue ali, custodiscimi, affinché non esulti contro di me satana, che semina rovine, né trionfi contro di me l'iniquo avversario».(7)
San Gregorio di Nazianzo chiama Maria madre del Re di tutto l'universo», «madre vergine, [che] ha partorito il Re di tutto il mondo»,(8) mentre Prudenzio ci parla della Madre, che si meraviglia «di aver generato Dio come uomo sì, ma anche come sommo re».(9)
La dignità regale di Maria è poi chiaramente asserita da coloro che la chiamano «signora», «dominatrice», «regina». Secondo un'omelia attribuita a Origene, Elisabetta apostrofa Maria «madre del mio Signore», e anche: «Tu sei la mia signora».(10)
Lo stesso concetto si può dedurre da un testo di san Girolamo, nel quale espone il suo pensiero circa le varie interpretazioni del nome di Maria: «Si deve sapere che Maria, nella lingua siriaca, significa Signora».(11) Ugualmente si esprime, dopo di lui, san Pietro Crisologo: «Il nome ebraico Maria si traduce "Domina" in latino: l'angelo dunque la saluta "Signora" perché sia esente da timore servile la madre del Dominatore; che per volontà del Figlio nasce e si chiama Signora».(12)
Sant'Epifanio, vescovo di Costantinopoli, scrive al sommo pontefice Ormisda, che si deve implorare l'unità della chiesa «per la grazia della santa e consostanziale Trinità e per l'intercessione della nostra santa signora, gloriosa vergine e Madre di Dio, Maria».(13)
Un autore di questo stesso tempo si rivolge con solennità alla beata Vergine seduta alla destra di Dio, invocandone il patrocinio, con queste parole: «Signora dei mortali, santissima Madre di Dio».(14)
Sant'Andrea di Creta attribuisce spesso la dignità regale alla Vergine; ne sono prova i seguenti passi: «(Gesù Cristo) portà in questo giorno come regina del genere umano dalla dimora terrena (ai cieli) la sua Madre sempre vergine, nel cui seno, pur rimanendo Dio, prese l'umana carne».(15) E altrove: «Regina di tutti gli uomini, perché fedele di fatto al significato del suo nome, eccettuato soltanto Dio, si trova al di sopra di tutte le cose».(16)
San Germano poi così si rivolge all'umile Vergine: «Siedi, o signora: essendo tu regina e più eminente di tutti i re ti spetta sedere nel posto più alto»;(17) e la chiama. «Signora di tutti coloro che abitano la terra».(18)
San Giovanni Damasceno la proclama «regina, padrona, signora»(19) e anche «signora di tutte le creature»;(20) e un antico scrittore della chiesa occidentale la chiama «regina felice», «regina eterna, presso il Figlio Re», della quale «il bianco capo è ornato di aurea corona».(21)
Sant'Ildefonso di Toledo riassume tutti i titoli di onore in questo saluto: «O mia signora, o mia dominatrice: tu sei mia signora, o madre del mio Signore... Signora tra le ancelle, regina tra le sorelle».(22)
I teologi della chiesa, raccogliendo l'insegnamento di queste e di molte altre testimonianze antiche, hanno chiamato la beatissima Vergine regina di tutte le cose create, regina del mondo; signora dell'universo.
I sommi pastori della chiesa non mancarono di approvare e incoraggiare la devozione del popolo cristiano verso la celeste Madre e Regina con esortazioni e lodi. Lasciando da parte i documenti dei papi recenti, ricorderemo che già nel secolo settimo il Nostro predecessore san Martino I, chiamò Maria «Nostra Signora gloriosa, sempre vergine»;(23) sant'Agatone, nella lettera sinodale, inviata ai padri del sesto concilio ecumenico, la chiamò «Nostra Signora, veramente e propriamente Madre di Dio»;(24) e nel secolo VIII, Gregorio II, in una lettera inviata al patriarca san Germano, letta tra le acclamazioni dei padri del settimo concilio ecumenico, proclamava Maria «signora di tutti e vera Madre di Dio» e «signora di tutti i cristiani».(25)
Ricorderemo parimenti che il Nostro predecessore di immortale memoria Sisto IV, nella lettera apostolica Cum praeexcelsa,(26) in cui accenna con favore alla dottrina dell'immacolata concezione della beata Vergine, comincia proprio con le parole che dicono Maria «regina, che sempre vigile intercede presso il Re, che ha generato». Parimenti Benedetto XIV, nella lettera apostolica Gloriosae Dominae, chiama Maria «regina del cielo e della terra», affermando che il sommo Re ha, in qualche modo, affidato a lei il suo proprio impero.(27)
Onde sant'Alfonso, tenendo presente tutta la tradizione dei secoli che lo hanno preceduto, poté scrivere con somma devozione: «Poiché la vergine Maria fu esaltata ad essere la Madre del Re dei re, con giusta ragione la chiesa l'onora col titolo di Regina».(28)
 
II 
La sacra liturgia, che è lo specchio fedele dell'insegnamento tramandato dai Padri e affidato al popolo cristiano, ha cantato nel corso dei secoli e canta continuamente sia in Oriente che in Occidente le glorie della celeste Regina.
Fervidi accenti risuonano dall'Oriente: «O Madre di Dio, oggi sei trasferita al cielo sui carri dei cherubini, i serafini si onorano di essere ai tuoi ordini, mentre le schiere dei celesti eserciti si prostrano dinanzi a te».(29)
E ancora: «O giusto, beatissimo (Giuseppe), per la tua origine regale sei stato fra tutti prescelto a essere lo sposo della Regina immacolata, la quale darà alla luce in modo ineffabile il re Gesù».(30) E inoltre: «Scioglierò un inno alla Madre regina, alla quale mi rivolgo con gioia, per cantare lietamente le sue glorie. ... O Signora, la nostra lingua non ti può celebrare degnamente, perché tu, che hai dato alla luce Cristo, nostro Re, sei stata esaltata al di sopra dei serafini. ... Salve, o regina del mondo, salve, o Maria, signora di tutti noi».(31)
Nel «Messale» etiopico si legge: « O Maria, centro di tutto il mondo ... tu sei più grande dei cherubini pluriveggenti e dei serafini dalle molte ali. ... Il cielo e la terra sono ricolmi della santità della tua gloria».(32)
Fa eco la liturgia della chiesa latina con l'antica e dolcissima preghiera «Salve, regina», le gioconde antifone «Ave, o regina dei cieli», «Regina del cielo, rallégrati, alleluia» e altri testi, che si recitano in varie feste della beata vergine Maria: «Come regina stette alla tua destra con un abito dorato, rivestita di vari ornamenti»;(33) «La terra e il popolo cantano la tua potenza, o regina»;(34) «Oggi la vergine Maria sale al cielo: godete, perché regna con Cristo in eterno».(35)
A tali canti si devono aggiungere le Litanie lauretane, che richiamano i devoti a invocare ripetutamente Maria regina; e nel quinto mistero glorioso del santo rosario, la mistica corona della celeste regina, i fedeli contemplano in pia meditazione già da molti secoli, il regno di Maria, che abbraccia il cielo e la terra.
Infine l'arte ispirata ai principi della fede cristiana e perciò fedele interprete della spontanea e schietta devozione popolare, fin dal Concilio di Efeso, è solita rappresentare Maria come regina e imperatrice, seduta in trono e ornata delle insegne regali, cinta il capo di corona e circondata dalle schiere degli angeli e dei santi, come colei che domina non soltanto sulle forze della natura, ma anche sui malvagi assalti di satana. L'iconografia, anche per quel che riguarda la dignità regale della beata vergine Maria, si è arricchita in ogni secolo di opere di grandissimo valore artistico, arrivando fino a raffigurare il divin Redentore nell'atto di cingere il capo della Madre sua con fulgida corona.
I pontefici romani non hanno mancato di favorire questa devozione del popolo, decorando spesso di diadema, con le proprie mani o per mezzo di legati pontifici, le immagini della vergine Madre di Dio, già distinte per singolare venerazione.
 
III
Come abbiamo sopra accennato, venerabili fratelli, l'argomento principale, su cui si fonda la dignità regale di Maria, già evidente nei testi della tradizione antica e nella sacra liturgia, è senza alcun dubbio la sua divina maternità. Nelle sacre Scritture infatti, del Figlio, che sarà partorito dalla Vergine, si afferma: «Sarà chiamato Figlio dell'Altissimo e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre; e regnerà nella casa di Giacobbe eternamente e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 32-33); e inoltre Maria è proclamata «Madre del Signore» (Lc 1, 43). Ne segue logicamente che ella stessa è Regina, avendo dato la vita a un Figlio; che nel medesimo istante del concepimento, anche come uomo, era re e signore di tutte le cose, per l'unione ipostatica della natura umana col Verbo. San Giovanni Damasceno scrive dunque a buon diritto: «È veramente diventata la Signora di tutta la creazione, nel momento in cui divenne Madre del Creatore»(36) e lo stesso arcangelo Gabriele può dirsi il primo araldo della dignità regale di Maria.
Tuttavia la beatissima Vergine si deve proclamare regina non soltanto per la maternità divina, ma anche per la parte singolare che, per volontà di Dio, ebbe nell'opera della nostra salvezza eterna. «Quale pensiero - scrive il Nostro predecessore di felice memoria Pio XI - potremmo avere più dolce e soave di questo, che Cristo è nostro re non solo per diritto nativo, ma anche per diritto acquisito e cioè per la redenzione? Ripensino tutti gli uomini dimentichi quanto costammo al nostro Salvatore: "Non siete stati redenti con oro o argento, beni corruttibili, ... ma col sangue prezioso di Cristo, agnello immacolato e incontaminato" (1 Pt 1;18-19). Non apparteniamo dunque a noi stessi, perché "Cristo a caro prezzo" (1 Cor 6, 20) ci ha comprati».(37)
Ora nel compimento dell'opera di redenzione Maria santissima fu certo strettamente associata a Cristo, onde giustamente si canta nella sacra liturgia: «Santa Maria, regina del cielo e signora del mondo, affranta dal dolore, se ne stava in piedi presso la croce del Signore nostro Gesù Cristo».(38) E un piissimo discepolo di sant'Anselmo poteva scrivere nel medioevo: «Come ... Dio, creando tutte le cose nella sua potenza, è padre e signore di tutto, così Maria, riparando tutte le cose con i suoi meriti, è la madre e la signora di tutto: Dio è signore di tutte le cose, perché le ha costituite nella loro propria natura con il suo comando, e Maria è signora di tutte le cose, riportandole alla loro originale dignità con la grazia che ella meritò».(39) Infatti: «Come Cristo per il titolo particolare della redenzione è nostro signore e nostro re, così anche la Vergine beata (è nostra signora) per il singolare concorso prestato alla nostra redenzione, somministrando la sua sostanza e offrendola volontariamente per noi, desiderando, chiedendo e procurando in modo singolare la nostra salvezza».(40)
Da queste premesse si può così argomentare: se Maria, nell'opera della salute spirituale, per volontà di Dio, fu associata a Cristo Gesù, principio di salvezza, e in maniera simile a quella con cui Eva fu associata ad Adamo, principio di morte, sicché si può affermare che la nostra redenzione si compì se­condo una certa «ricapitolazione»,(41) per cui il genere umano, assoggettato alla morte, per causa di una vergine, si salva anche per mezzo di una Vergine; se inoltre si può dire che questa gloriosissima Signora venne scelta a Madre di Cristo proprio «per essere a lui associata nella redenzione del genere umano»(42) e se realmente «fu lei, che esente da ogni colpa personale o ereditaria, strettissimamente sempre unita al suo Figlio, lo ha offerto sul Golgota all'eterno Padre sacrificando insieme l'amore e i diritti materni, quale nuova Eva, per tutta la posterità di Adamo, macchiata dalla sua caduta miseranda»;(43) se ne potrà legittimamente concludere che, come Cristo, il nuovo Adamo, è nostro re non solo perché Figlio di Dio, ma anche perché nostro redentore, così, secondo una certa analogia, si può affermare parimenti che la beatissima Vergine è regina, non solo perché Madre di Dio, ma anche perché quale nuova Eva è stata associata al nuovo Adamo.
È certo che in senso pieno, proprio e assoluto, soltanto Gesù Cristo, Dio e uomo, è re; tuttavia, anche Maria, sia come madre di Cristo Dio, sia come socia nell'opera del divin Redentore, e nella lotta con i nemici e nel trionfo ottenuto su tutti, ne partecipa la dignità regale, sia pure in maniera limitata e analogica. Infatti da questa unione con Cristo re deriva a lei tale splendida sublimità, da superare l'eccellenza di tutte le cose create: da questa stessa unione con Cristo nasce quella regale potenza, per cui ella può dispensare i tesori del regno del divin redentore; infine dalla stessa unione con Cristo ha origine l'inesauribile efficacia della sua materna intercessione presso il Figlio e presso il Padre.
Nessun dubbio pertanto che Maria santissima sopravanzi in dignità tutta la creazione e abbia su tutti il primato, dopo il suo Figliuolo. «Tu infine - canta san Sofronio - hai di gran lunga sopravanzato ogni creatura. ... Che cosa può esistere di più sublime di tale gioia, o Vergine Madre? Che cosa può esistere di più elevato di tale grazia, che per volontà divina tu sola hai avuto in sorte?».(44) E va ancora più oltre nella lode san Germano: «La tua onorifica dignità ti pone al di sopra di tutta la creazione: la tua sublimità ti fa superiore agli angeli».(45) San Giovanni Damasceno poi giunge a scrivere la seguente espressione: «È infinita la differenza tra i servi di Dio e la sua Madre».(46)
Per aiutarci a comprendere la sublime dignità che la Madre di Dio ha raggiunto al di sopra di tutte le creature, possiamo ripensare che la santissima Vergine, fin dal primo istante del suo concepimento, fu ricolma di tale abbondanza di grazie da superare la grazia di tutti i santi. Onde - come scrisse il Nostro predecessore Pio XI di fel. mem. nella lettera apostolica Ineffabilis Deus - «ha con tanta munificenza arricchito Maria con l'abbondanza di doni celesti, tratti dal tesoro della divinità, di gran lunga al di sopra degli angeli e di tutti i santi, che ella, del tutto immune da ogni macchia di peccato, in tutta la sua bellezza e perfezione, avesse tale pienezza d'innocenza e di santità che non se ne può pensare una più grande al di sotto di Dio e che all'infuori di Dio nessuno riuscirà mai a comprendere».(47)
Inoltre la beata Vergine non ha avuto soltanto il supremo grado, dopo Cristo, dell'eccellenza e della perfezione, ma anche una partecipazione di quell'influsso, con cui il suo Figlio e Redentore nostro giustamente si dice che regna sulla mente e sulla volontà degli uomini. Se infatti il Verbo opera i miracoli e infonde la grazia per mezzo dell'umanità che ha assunto, se si serve dei sacramenti dei suoi santi come di strumenti per la salvezza delle anime, perché non può servirsi dell'ufficio e dell'opera della Madre sua santissima per distribuire a noi i frutti della redenzione? «Con animo veramente materno - così dice lo stesso predecessore Nostro Pio IX di imm. mem. - trattando l'affare della nostra salute ella è sollecita di tutto il genere umano, essendo costituita dal Signore regina del cielo e della terra ed esaltata sopra tutti i cori degli angeli e sopra tutti i gradi dei santi in cielo, stando alla destra del suo unigenito Figlio; Gesù Cristo, Signore nostro, con le sue materne suppliche impetra efficacissimamente, ottiene quanto chiede, né può rimanere inesaudita».(48) A questo proposito l'altro predecessore Nostro di fel. mem., Leone XIII, dichiarò che alla beata vergine Maria è stato concesso un potere «quasi immenso» nell'elargizione delle grazie;(49) e san Pio X aggiunge che Maria compie questo suo ufficio «come per diritto materno».(50)
Godano dunque tutti i fedeli cristiani di sottomettersi all'impero della vergine Madre di Dio, la quale, mentre dispone di un potere regale, arde di materno amore.
Però in queste e altre questioni, che riguardano la beata Vergine, i teologi e i predicatori della divina parola abbiano cura di evitare certe deviazioni per non cadere in un doppio errore; si guardino cioè da opinioni prive di fondamento e che con espressioni esagerate oltrepassano i limiti del vero; e dall'altra parte si guardino pure da un'eccessiva ristrettezza di mente nel considerare quella singolare, sublime, anzi quasi divina dignità della Madre di Dio, che il dottore angelico ci insegna ad attribuirle «per ragione del bene infinito, che è Dio».(51)
Del resto, in questo, come in altri campi della dottrina cristiana, «la norma prossima e universale» è per tutti il magistero vivo della chiesa, che Cristo ha costituito «anche per illustrare e spiegare quelle cose, che nel deposito della fede sono contenute solo oscuramente e quasi implicitamente».(52)
 
IV
Dai monumenti dell'antichità cristiana, dalle preghiere della liturgia, dall'innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d'arte, da ogni parte abbiamo raccolto espressioni e accenti; secondo i quali la vergine Madre di Dio primeggia per la sua dignità regale; e abbiamo anche mostrato che le ragioni, che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede divina, confermano pienamente questa verità. Di tante testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente, per celebrare il sommo fastigio della dignità regale della Madre di Dio e degli uomini, la quale è stata «esaltata ai regni celesti, al di sopra dei cori angelici ».(53)
EssendoCi poi fatta la convinzione dopo mature ponderate riflessioni, che ne verranno grandi vantaggi alla chiesa se questa verità solidamente dimostrata risplenda più evidente davanti a tutti, quasi lucerna più luminosa sul suo candelabro, con la Nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria regina, da celebrarsi ogni anno in tutto il mondo il giorno 31 maggio. Ordiniamo ugualmente che indetto giorno sia rinnovata la consacrazione del genere umano al cuore immacolato della beata vergine Maria. In questo gesto infatti è riposta grande speranza che possa sorgere una nuova era, allietata dalla pace cristiana e dal trionfo della religione.
Procurino dunque tutti di avvicinarsi ora con maggior fiducia di prima, quanti ricorrono al trono di grazia e di misericordia della Regina e Madre nostra, per chiedere soccorso nelle avversità, luce nelle tenebre, conforto nel dolore e nel pianto, e, ciò che conta più di tutto, si sforzino di liberarsi dalla schiavitù del peccato, per poter presentare un ossequio immutabile, penetrato dalla fragrante devozione di figli, allo scettro regale di sì grande Madre. I suoi templi siano frequentati dalle folle dei fedeli, per celebrarne le feste; la pia corona del Rosario sia nelle mani di tutti per riunire insieme, nelle chiese, nelle case, negli ospedali, nelle carceri, sia i piccoli gruppi, sia le grandi adunanze di fedeli, a cantare le sue glorie. Sia in sommo onore il nome di Maria, più dolce del nettare, più prezioso di qualunque gemma; e nessuno osi pronunciare empie bestemmie, indice di animo corrotto, contro questo nome ornato di tanta maestà e venerando per la grazia materna; e neppure si osi mancare in qualche modo di rispetto ad esso.
Tutti si sforzino di imitare, con vigile e diligente cura, nei propri costumi e nella propria anima, le grandi virtù della Regina celeste e nostra Madre amantissima. Ne deriverà di conseguenza che i cristiani, venerando e imitando sì grande Regina e Madre, si sentano infine veramente fratelli, e, sprezzanti dell'invidia e degli smodati desideri delle ricchezze, promuovano l'amore sociale, rispettino i diritti dei poveri e amino la pace, Nessuno dunque si reputi figlio di Maria, degno di essere accolto sotto la sua potentissima tutela, se sull'esempio di lei non si dimostrerà mite, giusto e casto, contribuendo con amore alla vera fraternità, non ledendo e nuocendo, ma aiutando e confortando.
In molti paesi della terra vi sono persone ingiustamente perseguitate per la loro professione cristiana e private dei diritti umani e divini della libertà: per allontanare questi mali nulla valgono finora le giustificate richieste e le ripetute proteste. A questi figli innocenti e tormentati rivolga i suoi occhi di misericordia, che con la loro luce portano il sereno allontanando i nembi e le tempeste, la potente Signora delle cose e dei tempi, che sa placare le violenze con il suo piede verginale; e conceda anche a loro di poter presto godere della dovuta libertà per la pratica aperta dei doveri religiosi, sicché servendo la causa dell'evangelo, con opera concorde e con egregie virtù, che nelle asprezze rifulgono ad esempio, giovino anche alla solidità e al progresso della città terrena.
Pensiamo anche che la festa istituita con questa lettera enciclica, affinché tutti più chiaramente riconoscano e con più cura onorino il clemente e materno impero della Madre di Dio, possa contribuire assai a che si conservi, si consolidi e si renda perenne la pace dei popoli, minacciata quasi ogni giorno da avvenimenti pieni di ansietà. Non è ella l'arcobaleno posto sulle nubi verso Dio, come segno di pacifica alleanza? (cf. Gn 9, 13). «Mira l'arcobaleno e benedici colui che l'ha fatto; esso è molto bello nel suo splendore, abbraccia il cielo nel suo cerchio radioso e le mani dell'Altissimo lo hanno teso» (Eccli 43, 12-13). Chiunque pertanto onora la Signora dei celesti e dei mortali - e nessuno si creda esente da questo tributo di riconoscenza e di amore - la invochi come regina potentissima, mediatrice di pace; rispetti e difenda la pace, che non è ingiustizia impunita né sfrenata licenza, ma è invece concordia bene ordinata sotto il segno e il comando della volontà di Dio: a fomentare e accrescere tale concordia spingono le materne esortazioni e gli ordini di Maria vergine.
Desiderando moltissimo che la Regina e Madre del popolo cristiano accolga questi Nostri voti e rallegri della sua pace le terre scosse dall'odio, e a noi tutti mostri, dopo questo esilio, Gesù, che sarà la nostra pace e la nostra gioia in eterno, a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli, impartiamo di cuore l'apostolica benedizione, come auspicio dell'aiuto di Dio onnipotente e in testimonianza del Nostro amore.
 
Roma, presso San Pietro, nella festività della maternità di Maria vergine, l'11 ottobre 1954, XVI del Nostro pontificato.
 
PIO PP. XII 

mercoledì 15 luglio 2020

Il messaggio di un vescovo

 
MISERICORDIA E VERITA' SI INCONTRERANNO
 
Riflessioni e preoccupazioni pastorali
sulla proposta di legge contro i reati di omo e transfobia
 
La memoria liturgica dei Santi Carlo Lwanga e Compagni Martiri, celebrata il 3 giugno scorso, ha suscitato nel mio animo l’idea e l’esigenza di intervenire sul dibattito in corso per l’approvazione di una legge contro i reati di omofobia. L’argomento merita, soprattutto in campo ecclesiale, peculiare attenzione e speciale chiarezza a tutela della libertà della Chiesa in ordine alla propria missione evangelizzatrice ed educativa. 
I santi martiri ugandesi subirono il martirio nel 1886 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (Uganda), infastidito anche per il rifiuto di quei suoi sudditi di soddisfare le sue pulsioni omosessuali. La loro condizione di cristiani non solo non consentiva di cedere alle richieste immorali del sovrano, ma li portava a dichiararne illecite le imposizioni.
Il progetto di legge che vorrebbe sanzionare le accuse di omo e trans-fobia, interpella la mia coscienza di pastore. Per amore della verità che “rende liberi” (Gv 8,32) e alla quale ho consacrato la mia vita, ritengo opportuno e doveroso intervenire, riaffermando alcuni concetti fondamentali della dottrina cattolica.
 
L’insegnamento della Chiesa
 
Innanzitutto, desidero richiamare con forza e determinazione il valore del rispetto della dignità di ogni uomo e la condanna per ogni gesto o atto di discriminazione e violenza verso chi si trovi a vivere una peculiare condizione. Dice al riguardo una nota della Congregazione della Dottrina della Fede del 1986:
“Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”.
A questa affermazione, segue una precisazione importante: 
“Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l’attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano”.
 
La Sacra Scrittura prega così in un Salmo: “Misericordia e verità si incontrerannoGiustizia e pace si baceranno (Salmo 85, 11). L’intuizione profetica e ispirata fonda la ricchezza del Magistero della Chiesa, che in sé tiene insieme il rispetto per ogni essere umano e l’annuncio della verità dell’uomo. Come sa bene chi ha a cuore il bene di una persona, amare non significa sostenere tutto ciò che fa l’altro, ma volere il meglio, aiutarlo e orientarlo, soprattutto se rischia di sbagliare.
Chi, invece, sbrigativamente e semplicisticamente accusa la Chiesa di omofobia e di oscurantismo, non rende un buon servizio alla verità delle cose.
 
D’altra parte, i cristiani renderebbero un parziale servizio all’uomo se si limitassero alla proclamazione della misericordia, dimenticando di annunciare tutta la verità: essa infatti costituisce la prima ed ineludibile forma di carità e di attenta benevolenza. 
È dovere di ogni persona, soprattutto in relazioni e dinamiche educative, testimoniare e trasmettere la verità onestamente riconosciuta dalla propria coscienza evitando di piegarla a convenienze, condizionamenti e ricatti. Un cristiano non può sottrarsi al dovere di proclamare la verità conosciuta e in ogni situazione non deve dimenticare che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 4, 29).
 
Una legge non necessaria
 
In riferimento alla proposta di legge, dall’esame delle relazioni emerge una duplice premessa che ne vorrebbe motivare l’urgente necessità di approvazione: da una parte il bisogno di colmare un vuoto normativo; dall’altra una emergenza sociale, cioè una significativa quantità di offese, anche gravi, tale da giustificare una risposta punitiva mirata.
Al riguardo, illustri giuristi hanno ampiamente evidenziato come non ci sia alcuna lacuna normativa nel nostro ordinamento poiché già contiene tutta una articolata serie di norme in grado di tutelare da qualsiasi tipo di offesa alla persona (i delitti contro la vita, contro l’incolumità personale, contro l’onore, contro la personalità individuale, contro la libertà personale, contro la libertà morale).
Anche per quanto riguarda l’emergenza sociale dei cosiddetti hate crimes in Italia, i dati del Ministero dell’Interno, rilevati dall’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori), rilevano la bassissima incidenza (tra il 2010 e il 2018 le discriminazioni per ragioni di orientamento sessuale o di identità di genere sono 212, pari cioè a 26,5 segnalazioni all’anno). Pur nella convinzione che anche un solo gesto è degno di essere condannato e stigmatizzato, mi pare tuttavia evidente che non emerga una situazione di emergenza sociale o di diffuso sentimento discriminatorio, tale da giustificare una legge speciale.
 
Mi pare doveroso ribadire, ancora una volta, che le persone vulnerabili debbano essere tutelate in quanto persone, non in quanto appartenenti ad un gruppo specifico. Ed è certamente indubbio che le persone che si definiscono “LGBT” godono della dignità e dei diritti propri di tutte le persone. Non è ampliando il novero delle caratteristiche da proteggere, che si possa raggiungere l’obiettivo di un rispetto adeguato della dignità personale. La repressione non è mai stata un valido strumento educativo.  
 
Una legge pericolosa
 
A queste considerazioni, si aggiunge invece il rischio, assai più concreto e pericoloso che deriva dall’approvazione di una legge di questo tipo, la quale introdurrebbe nel sistema normativo uno squilibrio nel rapporto tra la libertà di opinione e il rispetto della dignità umana, che può dar luogo a derive liberticide.
Si dice, infatti, che la nuova invocata legge dovrà punire “l’istigazione a commettere atti di discriminazione o di violenza, non mere opinioni”. Ma il problema sta proprio nell’individuare la differenza tra una opinione e una reale discriminazione, il che verrebbe affidato ad una serie di valutazioni in capo ad un giudice, tenuto conto delle “condizioni di tempo e di luogo con le quali si manifesterà il messaggio, dalle modalità di estrinsecazione del pensiero, da precedenti condotte dell’autore e così via, in modo da verificare se il fatto si possa ritenere realmente offensivo del bene giuridico protetto”.
 
Come hanno evidenziato osservatori attenti, questa impostazione permetterebbe tranquillamente che un genitore, un vescovo, un parroco, un catechista, che nell’adempimento della loro naturale missione, abbiano esposto secondo la propria coscienza e le proprie convinzioni una valutazione educativa circa determinate condotte o promozioni di costume, possano essere sottoposti a un procedimento penale, in cui sarà da dimostrare che l’opinione o intervento formativo non conteneva in sé intento discriminatorio, per stabilire di volta in volta se sia stato superato il confine fra “opinione” e discriminazione.
 
La legislazione proposta inciderebbe ancora più gravemente su questioni concernenti la gestione di enti ecclesiastici o di ispirazione cristiana (come, ad esempio, la possibilità di licenziare dipendenti dei predetti enti che tengano nella vita privata un comportamento non conforme alla dottrina, la necessità di evitare ogni espressione o misura organizzativa che distingua gli uomini dalle donne – ad esempio nei bagni o negli spogliatoi, nelle classi scolastiche o anche nelle competizioni sportive – essendo una siffatta distinzione “binaria” contraria al divieto di discriminazione basato sull’identità di genere).
Qui si introduce il tema della verità delle questioni in gioco. Com’è noto, orientamento sessuale e identità di genere sono al centro di un dibattito che va avanti da molti anni, e non solo in Italia, sulla libertà educativa e sulla famiglia. Si tratta di questioni rispetto alle quali come cristiani dobbiamo conservare e promuovere il diritto ad una diversità e libertà di pensiero.
 
In questo si manifesta anche tutta la fatica della testimonianza di una verità antropologica, biblicamente fondata e incentrata sul progetto di amore che Dio ci ha consegnato nella creazione e che non possiamo dimenticare o mettere a tacere, soltanto perché non collima con il “pensiero del mondo”.
 
L’esperienza di altri Stati nei quali sono state introdotte disposizioni c.d. anti-omofobe ci attesta che le conseguenze per i cristiani sono state dure. In Spagna, ad esempio, nel 2014 il cardinale Fernando Sebastián Aguilar è stato indagato da una Associazione LGBT per “omofobia” per aver rilasciato un’intervista su un quotidiano nel corso della quale, sulla premessa che la sessualità è orientata alla procreazione, faceva presente che in una relazione omosessuale tale finalità è preclusa. In Francia la c.d. legge Taubira è stata applicata, anche con arresti, verso persone ree di indossare in pubblico una felpa recante il logo della Manif pour tous, cioè un disegno con le sagome di un papà, di una mamma e di due bambini.
Per non dire degli attacchi e degli insulti che si registrano continuamente sui media e sui social nei confronti di preti o altre persone che esprimono semplicemente la dottrina o la loro opinione sui temi che abbiamo detto. E questo senza che ci sia ancora una legge che potrebbe arrivare a punire penalmente queste libere manifestazioni di “pensiero”.
 
Un appello
 
Da tempo, e a ragion veduta, si parla infatti, della cosiddetta “dittatura del pensiero unico”. Un modo di sentire “politicamente corretto”, che piace ai media e ai salotti televisivi, ma che dimentica di andare in fondo alla verità delle cose, in nome del relativismo, per il quale ogni opinione può diventare legge. Ma se questo è sotto gli occhi di tutti, mi spaventa ancora di più, come pastore, pensare che articoli stessi del Catechismo e passi della Bibbia possano da un giorno all’altro diventare perseguibili per legge.
Desidero rivolgere, pertanto, un appello accorato a tutti politici cattolici e a coloro che perlomeno si ispirano a principi cristiani, affinché facciano sentire la loro voce e nel dibattito politico in corso rivendichino la libertà di pensiero di tutti e dei cristiani. 
Non si può accettare infatti che una legge, perseguendo un obiettivo “ideologico”, metta a rischio la possibilità di annunciare con libertà la verità dell’uomo, sia pur con l’obiettivo di prevenire forme di discriminazione contro le quali, come già ricordato, è sufficiente applicare le disposizioni già in vigore, unitamente ad una seria prevenzione, non necessariamente penale, per scongiurare l’offesa alla persona, chiunque essa sia.
 
Sanremo, 8 giugno 2020
 
+ Antonio Suetta
Vescovo di Ventimiglia – San Remo
 
Tratto da QUI

martedì 14 luglio 2020

Dio giudica!


Nell’anno 1082, in una grande cappella presso la chiesa di Notre-Dame, a Parigi, si celebravano i funerali di un dottore dell’università, Raimondo Diocrés. Secondo il costume dell’epoca, si fece giacere il morto nella bara, in mezzo alla chiesa, coperto d’un velo. Ora, avvenne che durante l’Ufficio dei defunti, alle parole: «Rispondimi, quante sono le tue iniquità...», il morto si leva a sedere, e dice: «Per giusto Giudizio di Dio, sono stato ACCUSATO...». E tra lo spavento degli astanti, il morto torna disteso, cadavere freddo e rigido.

Si ripiglia l’Ufficio, ma alle parole: «Rispondimi...», il morto si leva di nuovo e dice: «Per giusto Giudizio di Dio sono stato GIUDICATO...», e ricade disteso nella bara. Si riprende ancora, tra spavento e terrore di molti, l’Ufficio, ma alle parole: «Rispondimi...», il morto si alza un’ultima volta ed esclama con voce terribile: «Per giusto Giudizio di Dio sono stato CONDANNATO!...». Furono subito sospesi i funerali.

Fra i molti presenti ai funerali, vi era anche uno dei grandi dottori del tempo e grande dignitario. Egli rimase così scosso che lasciò subito l’università e il mondo, ritirandosi in un deserto presso Grenoble, dove visse in solitudine, preghiera e penitenza fino alla morte. È san Bruno, fondatore dei Certosini, morto nel 1101.

sabato 11 luglio 2020

Parole profetiche


Ma che cosa significa essere omofobi? In realtà, nessuno può dirlo con precisione, perché l'omofobia è un'invenzione ideologica. È una trovata da codice penale sovietico, che permetterà a pubblici ministeri e giudici di perseguire le condotte più diverse, nel trionfo più grottesco della giurisprudenza creativa.
 
L'omofobia presuppone che il mondo sia fatto da eterosessuali e da omosessuali, oltre che da altre categorie eventualmente definibili con riferimento alla sfera sessuale. Ma già il concetto di eterosessualità è fasullo: infatti, quando uomo e donna compiono atti sessuali sono semplicemente persone normali. Il resto è anormalità. Una volta accettata la categoria giuridica dell'omofobia, questa affermazione non potrà più essere fatta pubblicamente senza rischiare di essere perseguiti dalla magistratura. La stessa cosa può dirsi di un professore o di una maestra che insegnino ai loro alunni che i rapporti fra persone dello stesso sesso non sono normali, o che avere due padri o due madri è dannoso per i figli. Una denuncia penale penderà come una spada di Damocle anche sulla testa di qualunque sacerdote o catechista che definisca gli atti omosessuali un peccato contro natura, e dunque peccato "che grida vendetta al cospetto di Dio".
 
L'omofobia è una categoria dell'assurdo. Se una persona viene aggredita o insultata, l'ordinamento giuridico prevede già sanzioni, applicabili a tutti in base al principio di eguaglianza. Inventarsi nuove pene per il caso in cui la vittima sia omosessuale (o dichiari di esserlo, perché poi come si può verificarlo?) significa inaugurare una potenziale infinita proliferazione di categorie a protezione rafforzata da parte dell'ordinamento penale. Si potrebbero ipotizzare leggi per punire più severamente la "grassofobia", per tutelare gli obesi dalle prese in giro di colleghi e compagni di scuola; oppure la "tabaccofobia", per difendere i fumatori da chi li discrimina per le loro condotte polmonari; o ancora, la "calvofobia", per porre fine all'indegna discriminazione delle persone con pochi capelli. Come si vede, non esiste un limite a questa demenziale gara di proliferazione dei diritti civili.
Una nazione che introduce nelle sue leggi la categoria dell'omofobia accetta inevitabilmente l'ideologia del gender. Che cosa significa questo? Secondo la teoria del gender, il sesso di una persona non è un fatto che discende inesorabilmente dalla natura – si nasce uomo, oppure donna, e tertium non datur – ma ogni individuo sceglie, e non una volta per tutte, se vuole essere uomo o donna, a prescindere dal suo corpo e dalla genetica.
 
L'omofobia certifica per via giuridica la distruzione del sesso come identità naturale, trasformandolo in una scelta individuale arbitraria. Sarò uomo o donna così come può decidere di mangiare marmellata di pesche o di ciliegie. L'uomo letteralmente "si fa da sé", portando a compimento il progetto di devastazione antropologica e sociale iniziato dai pensatori illuministi e rivoluzionari come Rousseau. Progetto che si riassume nella ribellione totale a Dio, che culmina nel rigettare i vincoli sessuali imposti dal corpo e dai suoi organi. E che si fa beffe del progetto divino sull'uomo "crescete e moltiplicatevi".
 
Deve essere chiaro fin da subito che, una volta fatta una legge sull'omofobia, qualunque essa sia, il passaggio successivo automatico sarà una legge sui matrimoni gay. E in seguito non mancherà la legalizzazione delle adozioni di coppie omosessuali e l'accesso delle medesime alla fecondazione artificiale.
 
Insomma, gli effetti della legge sull'omofobia sono apocalittici. In Italia, sarebbe stata del tutto normale una reazione durissima del mondo cattolico, della Chiesa, della Conferenza episcopale italiana, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, del principale quotidiano cattolico. E invece tutto tace. [...]
 
(Tratto da uno scritto del Prof. Mario Palmaro, rip)
QUI il resto del testo

giovedì 9 luglio 2020

Soffiano i venti.....


Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via.
 
 
Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
 
Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità.
 
San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana.
 
In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).
 
MISSA PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE
OMELIA DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER
DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO
Patriarcale Basilica di San Pietro
Lunedi, 18 aprile 2005
 

sabato 4 luglio 2020

Di natura e di realtà

 
 
Per la verità, a noi, affezionati alla razionalità, alla natura e alla realtà, pare che continuino a nascere solo uomini e donne. Insieme al buon senso e alle ostetriche, lo dicono la scienza, la fisiologia e la biologia.
Non a caso la regola dice che nel Dna sta scritto che si è maschi oppure femmine. E anche se uno si sottopone a un’operazione chirurgica privandosi dei suoi organi genitali il Dna continua a dare il responso originario.
Il Dna dunque parla come la Sacra Scrittura, perché la natura è il linguaggio di Dio: si nasce maschi o femmine. Non è un’opzione culturale, che uno può decidere arbitrariamente, ma un dato di natura.