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(Miki De Gootaboom) |
Di don Leonardo Maria Pompei
Cosa sia davvero l’Inferno non possiamo nemmeno lontanamente immaginarlo. Tutta la tribolazione e l’angoscia, il fuoco, il gelo, le acque che sommergono, la fame, la sete, le ferite, la morte, le piaghe non sono altro che un mimino saggio dell’eterno supplizio che divora i dannati. Sono in molti in questi nostri sciagurati tempi “post-moderni” a non credere all’esistenza dell’Inferno o ad immaginarne la totale assenza in esso di anime umane (solo i demoni starebbero in questo “luogo” di perdizione), oppure ridurlo ad una sorta di nuovo limbo dopo essersi troppo frettolosamente sbarazzati di quello tradizionale (facendo coincidere l’Inferno con il semplice stato di privazione della visione beatifica, che è esattamente ciò che caratterizza la condizione di chi muore privo della grazia santificante ma senza colpe proprie e attuali).
Tutto ciò, peraltro, anzitutto in barba ai chiarissimi, espliciti (oltre che simbolici), crudi e reiterati riferimenti all’inferno a cui Gesù in persona non mancò più volte -come vedremo- di ricorrere, per ammonire circa l’esistenza di esso e la reale possibilità (non certo voluta da Dio, ma possibile a causa della protervia degli uomini) di un’eterna dannazione. A dispetto, inoltre, di tutti gli altri dati del Nuovo e anche dell’Antico Testamento che, senza alcun margine di dubbio, parlano (anche questo lo vedremo) dell’esistenza dell’Inferno come realtà purtroppo “abitata” da chi vi precipita rifiutando la salvezza.
Contraddicendo, infine, la più antica tradizione della Chiesa nonché il Magistero ufficiale della Chiesa che ha definito come dogma di fede l’esistenza dell’inferno come luogo destinato a chi “muore in stato di peccato mortale” (Denz 1002, 1306) senza essersi pentito.
L’obiezione più comune contro l’esistenza stessa dell’Inferno oppure a sostegno di un suo fantasioso “essere vuoto” (dato contraddetto dalle parole esplicite di Gesù, sia quelle sul giudizio universale - Mt 25,41 - sia quelle sul ricco cattivo e il povero Lazzaro - Lc 16,23) verte su un’errata comprensione della Divina Misericordia. Dio, che è buono, non potrebbe tollerare che un pover’uomo, peraltro spesso ignaro dell’esistenza reale dell’inferno, possa precipitare in uno stato di eterno tormento senza possibilità di redenzione alcuna. Questa obiezione rivela la propria molteplice speciosità alla luce di poche ed elementari considerazioni.
- Anzitutto il fatto che la misericordia divina raggiunge solo chi riconosce il peccato come tale, se ne pente sinceramente (col proposito di mai più commetterlo) e ne chiede umilmente perdono a Colui che, per ottenere la remissione dei peccati, ha subito la Passione e la Morte di croce.
- Secondo, l’esistenza della Divina Giustizia a fianco della Divina Misericordia. Divina Giustizia che esige che chi, liberamente e volontariamente, si è chiuso ostinatamente nel rifiuto della salvezza, consegnando la sua anima nelle mani di satana fino alla morte (che lo trova esattamente in questo stato), abbia ciò che liberamente ha scelto: la separazione da Dio e la soggezione a colui a cui, peccando, ha dato - volente o nolente - culto e gloria per tutta la sua vita terrena. E che è molto cattivo.
- Terzo, non si può dire di essere del tutto ignoranti (e, ancor più raramente, incolpevolmente ignoranti) dell’esistenza dell’inferno, quando, solo per fare un banale esempio, un’opera quale la Divina Commedia di Dante Alighieri è universalmente conosciuta in tutto il mondo ed è più che noto che il “materiale dottrinale” da cui il Vate ha attinto per tale capolavoro non è altro che la rivelazione e la tradizione della Chiesa. Dinanzi ad una tale informazione è dovere assai grave della persona vagliare e verificare bene, informarsi e confrontarsi, riflettere e ponderare, trattandosi di cosa gravissima e destinata ad incidere non per qualche tempo o su qualche vita, ma per tutta l’eternità e, potenzialmente, su ogni vita che rifiuti di accogliere la salvezza operata da Dio.
L’inferno non è dunque affatto la negazione della Divina Misericordia, ma l’affermazione della libertà dell’uomo e del rispetto che dinanzi ad essa ha Dio stesso, con tutte le responsabilità che un suo esercizio sbagliato comporta, il quale è da Dio rispettato ma mai né benedetto, né approvato. Altrimenti non avrebbe rivelato i dieci comandamenti e non ci avrebbe donato la Santa Madre Chiesa incaricata, tra le alte cose, di predicare la verità non solo nelle materie di fede ma anche in ciò che attiene ai costumi e questo semplicemente per consentire alle persone di scampare dal pericolo della dannazione e raggiungere la “meta della nostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1Pt 1,9).
Nell’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, perfettamente radicato nella dottrina tradizionale della Chiesa, le pene dell’inferno - che sono eterne come eterno è l’inferno medesimo - sono di una duplice natura: la pena del danno (consistente nell’eterna privazione della visione beatifica di Dio, che è il motivo principale per cui ogni anima è creata) e la pena del senso (cioè dei veri e propri tormenti, percepiti anche nello stato di anima separata, alcuni comuni a tutti i dannati altri “personali”, cioè dipendenti dal numero, la specie e la gravità dei peccati commessi in vita). Queste, secondo il Dottore Angelico, sulla base dei dati testuali offerti soprattutto dalla Sacra Scrittura sono le pene del senso comuni a tutti i dannati.
- Anzitutto la pena del fuoco eterno. Tale fuoco non è metaforico ma materiale (S. Th., q. 97, a. 5) e la sua reale esistenza e consistenza si fonda sui seguenti testi biblici: Ger 17:4: “Dovrai, perfino, ritirare la tua mano dalla tua eredità, quella che ti avevo dato, perché ti farò servire i tuoi nemici in un paese che non conosci. Un fuoco, infatti, avete acceso nell'ira mia che in eterno rimarrà acceso!”; Mt 18:8: “Se la tua mano o il tuo piede ti è di scandalo, taglialo e gettalo via da te. E' meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno”; Mt 25:41: “Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!”; Giuda 1,7: “Così come Sodoma e Gomorra e le città circonvicine che, avendo prevaricato nello stesso modo e avendo seguito passionalmente una sessualità diversa da quella naturale, costituiscono un esempio ammonitore, soffrendo la pena del fuoco eterno”.
- Insieme al fuoco (reale, ed al tempo stesso simbolo di tutti i tormenti) ci sarà un violentissimo freddo, ed i dannati “passeranno da un violentissimo calore ad un violentissimo freddo senza provarne alcun refrigerio” (S. Th., q. 97, a. 1, ad 3). I testi sul gelo (“stridore di denti”) sono i seguenti: Mt 8,12; Mt 13,42; Mt 13,50; Mt 22,13; Mt 24,51; Mt 25,30 (i testi sono riportati più in basso).
- Ci sarà poi la pena del verme che non muore, che si identifica col rimorso di coscienza. La metafora del verme serve ad indicare che il rimorso nasce, come i vermi, dalla putredine del peccato e tormenta l’anima, come fa il verme col suo morso (S. Th., q. 97, a. 2). Testi biblici: Mc 9:48: “[…] nella Geenna, dove il loro verme non muore ed il fuoco non si estingue”. Is 66,24: “Uscendo vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di Me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti”. Gdt 16,17: “Guai alle genti che insorgono contro il mio popolo: il Signore onnipotente li punirà nel giorno del giudizio, immettendo fuoco e vermi nelle loro carni e piangeranno nel tormento per sempre”. Sir 7,17: “Umilia profondamente la tua anima, perché castigo dell’empio sono fuoco e vermi”. I dannati avranno in eterno il rimorso di quello che hanno fatto e la coscienza che sarebbe stato perfettamente evitabile se solo avessero agito diversamente e accolto la Divina Misericordia.
- Poi ci sarà il pianto, cioè l’afflizione interiore profondissima, identificabile con la disperazione (S. Th., q. 97, a. 3). Anche essa è provata dai seguenti testi biblici: Mt 8,12: “[…] mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 13,42: “[…] perché li gettino nella fornace ardente. Là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 13,50: “[…] e li getteranno nella fornace ardente. Là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 22:13: “Allora il re disse ai suoi servitori: «Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori: là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 24:51: “[…] e lo farà a pezzi, facendogli toccare la stessa sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 25:30: “[…] e il servo infingardo, gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”.
- Infine ci saranno le tenebre o oscurità, in modo che ci sarà un buio insopportabile, ma in cui, purtroppo, si vedranno in una certa penombra solo le cose capaci di affliggere il cuore (tra cui la bruttezza dei demoni); e ciò per disposizione divina. Testi biblici: Mt 22,13: “Allora il re disse ai suoi servitori: «Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori: là sarà pianto e stridore di denti»”. Mt 25,30: “E il servo infingardo, gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 8,12: “[…] mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”. 2 Pt 2,17: “Costoro sono sorgenti senz'acqua, nubi in preda al vento della tempesta: è riservato loro il buio delle tenebre”. Giuda 1,13: “[…] onde selvagge del mare che spruzzano la schiuma della loro vergogna, stelle erranti alle quali è riservato il buio delle tenebre eterne!” Tb 14,10: “Vedi, figlio, quanto fece Nadab a Achikar, suo padre adottivo; non l'ha fatto scendere vivo sotto terra? Ma Dio ripiegò l'infamia in faccia al colpevole: Achikar ritornò alla luce, mentre Nadab entrò nelle tenebre eterne per aver tentato di far morire Achikar”.
I santi hanno sempre raccomandato di meditare con estrema attenzione queste terribili ma salutari verità. Non pensarci o farsene beffa non fa altro che male a noi e bene a quegli esseri inqualificabili che esistono solo per portare altri esseri intelligenti nella loro meritata condanna. La Rivelazione non è stata data da Dio per scherzo. E nostro Signore Gesù Cristo ha sofferto Lui stesso le pene dell’inferno non perché non avesse altro di meglio da fare, ma per risparmiarle a noi. A condizione che accogliamo la sua salvezza e abbandoniamo per sempre il peccato mortale, che dell’inferno rappresenta la porta di ingresso che solo il pentimento sigillato dal Sangue di Gesù può chiudere.