E' il 24 aprile 1915, esattamente cento anni fa. A Costantinopoli (l'odierna Istanbul, Turchia) una retata di intellettuali, scrittori, artisti e politici armeni, che furono prelevati dalle loro case e messi a morte, inizia la prima fase del genocidio degli Armeni ad opera del regime dei Giovani Turchi. Intanto però la persecuzione, la deportazione e l'eccidio delle comunità armene cristiane in Turchia era già iniziata da mesi. Si contano 1 milione e 400mila cristiani Armeni uccisi a causa della loro fede e della loro esistenza. L’insofferenza turca verso la comunità armena ebbe una sua prima fase tra il 1894 e il 1897 cui seguirono nel 1909 i cosiddetti “Vespri di Cilicia”, con oltre 30mila vittime. L’obiettivo era semplicemente eliminare l’elemento estraneo.
Quello degli Armeni è stato il primo genocidio del Novecento e tale crimine si è consumato nel silenzio della comunità internazionale.
Genocidio non è mero sinonimo di “massacro”, è un neologismo, coniato ad hoc per supplire alle carenze della lingua di fronte a quel che i nazionalsocialisti fecero agli Ebrei: che non era un eccidio, come i tanti purtroppo narratici dalla storia, ma il progetto cosciente e preciso di annientare per sempre un’intera porzione del genere umano e la sua relativa messa in atto.
Genocidio significa sterminio sistematico rivolto contro un’intera etnia.
Il Santo Padre Francesco domenica 12 aprile, nel saluto prima della Messa in San Pietro per i fedeli di rito armeno, proclamando dottore della Chiesa l’armeno san Gregorio di Narek (951-1003), alla presenza del presidente dell’Armenia Serž Sargsyan, del Patriarca e Catholicos di tutti gli armeni Karekin II, del Catholicos della Grande Casa di Cilicia Aram I e del Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici Nerses Bedros XIX, ha ricordato solennemente il Metz Yeghérn (“Il grande male”), ovvero l’olocausto degli Armeni compiuto dai Giovani Turchi tra 1915 e 1923. Il Papa ha definito «genocidio» quell’eccidio, ricordando (in sintonia con san Giovanni Paolo II) che è stato il primo del Novecento, presupponendo che nella storia ce ne sono stati altri, sia prima che dopo quello armeno.
L'Ottocento finisce col genocidio della Vandea, una regione dell’Ovest francese identitariamente cattolica, il Novecento comincia con quello gli Armeni (e insieme a loro la follia genocida turca ha massacrato anche siri cattolici e ortodossi, assiri, caldei e quei greci che amano ancora definirsi antiocheni), prosegue con gli ebrei per continuare indisturbato in Russia, Ucraina, Cambogia, Ruanda, Burundi, Bosnia. Una scia di violenza, di morti e di sangue, che continua ancora oggi, nel nostro giovane secolo, per volontà di tiranni comunisti, di terroristi islamici o di governi che identificano come nemici della Nazione un popolo con un'altra identità religiosa o culturale.
Oggi gli Armeni di tutto il mondo ricorderanno il centenario del genocidio del loro popolo commesso per mano della Turchia ottomana. Un genocidio che fa fatica a guadagnarsi lo status di verità storica e che la comunità internazionale fa fatica ad accettare, soprattutto le autorità del governo turco che, dopo le parole pronunciate dal Papa sul genocidio degli Armeni, hanno reagito duramente, richiamando il proprio ambasciatore presso il Vaticano e convocando il nunzio della Santa Sede ad Ankara Antonio Lucibello per esprimere il «disappunto» e la protesta del governo turco.
Il presidente dell’Armenia Sargsyan in occasione della Messa del Santo Padre il 12 aprile ha detto: «Il Santo Padre ha lanciato un vigoroso messaggio alla comunità internazionale» che «i genocidi non condannati rappresentano un pericolo per l’intera umanità».
Basterà riconoscere e condannare un genocidio per evitare che altri ne vengano commessi?
UN PO' DI STORIA
Su tutte valga la testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini che così scrisse: "Dal 24 giugno non ho più dormito ne mangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all'esecuzione di massa di quegli innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all'uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l'anima e quasi fanno perdere la ragione."
Anche l'intervento della Santa Sede tramite il Papa Benedetto XV non produsse alcun effetto, in funzione anche del fatto che i turchi avevano proclamato la guerra santa.
Successivamente, approfittando degli sconvolgimenti in corso in Russia a causa della rivoluzione, gli armeni sotto il controllo dell'impero zarista si ribellano e, il 28 maggio 1918, dichiarano la propria indipendenza. In seguito, dopo la presa di alcuni territori nell'Armenia turca, verrà proclamata la nascita della Repubblica Armena. Durante i lavori del Trattato di Sevrès venne perfino riconosciuta l'indipendenza al popolo armeno e la sua sovranità su gran parte dei territori dell'Armenia storica ma, come altre volte in futuro, tutto resterà solo sulla carta. Infatti il successivo Trattato di Losanna (1923) annullerà il precedente negando alle popolo armeno persino il riconoscimento della sua stessa esistenza. La caduta del regime turco alla fine della Grande Guerra e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 ed il 1922, con l'attacco alla Cilicia armena ed il Massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio. Dopo questi ultimi crimini non un solo armeno vivo lasciò traccia in Turchia.(Tratto da qui).
QUELLA STRADA CHIAMATA PARADISO E MAYRIG
Entrambi i film in lingua originale francese, uno il seguito dell'altro, raccontano la storia di una famiglia benestante armena, i Zhakharian, rifugiatasi in Francia a Marsiglia dopo essere sfuggita al genocidio. Entrambi i film si possono considerare un'autobiografia del regista stesso, che racconta in modo appassionato, raffinato, delicato la bellissima storia della sua famiglia (padre, madre, due zie materne), costretta a fuggire in Francia, dopo aver perso i familiari e tutti i beni, unita dall'amore e dal reciproco dono di sé nella quotidianità fatta di sacrifici, rinunce e desiderio di riscatto, nel continuo nostalgico ricordo dei familiari uccisi e della terra perduta.
Qui il genocidio è trattato a margine della storia però è un film che consiglio perché è davvero stupendo. La maestria degli attori protagonisti (Omar Sharif e Claudia Cardinale) è insuperabile. Purtroppo la pellicola non si trova in lingua italiana, io sono riuscita a registrarla su cassetta VHS (roba da preistoria!) tanti anni fa quando la RAI l'aveva mandata in onda. Un film(considero le due pellicole insieme) magistrale, commovente, per me uno tra i più belli; il mio preferito in assoluto.
I due film, nonostante l'importanza storica del tema trattato, hanno avuto scarsa diffusione in Italia.
LA MASSERIA DELLE ALLODOLE
Turchia, 1915. In una cittadina vive la benestante famiglia armena degli Avakian. Nel giorno in cui vengono colpiti dal lutto per la morte del patriarca anche il generale Arkan, capo della guarnigione turca, è presente alle esequie. È il segno di un rapporto, se non di amicizia, di reciproco rispetto tra le due comunità. Ma i Giovani Turchi hanno già pronto un piano per creare la Grande Turchia in cui non ci sarà posto per i ricchi e ‘traditori' Armeni.
Nessuna mediazione si rivela possibile. Dalla capitale partono per ogni dove gruppi di militari con l'ordine di uccidere sul posto i maschi (di qualunque età essi siano) e di deportare le donne e le bambine per poi massacrarle nei pressi di Aleppo. La famiglia Avakian viene smembrata e la giovane e vitale Nunik farà di tutto per salvaguardare la vita delle più piccole. Il film dei fratelli Taviani è liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Antonia Arslan. Di questo film invece è possibile acquistare il DVD in italiano.