E' questo un film tratto dall'omonimo libro autobiografico -Le due vie del destino- scritto da Eric Lomax e pubblicato nel 1995 in cui vengono descritti i crimini commessi dai Giapponesi nel Sudest asiatico, nella seconda guerra mondiale, durante la costruzione della 'Ferrovia della morte' (Thailandia-Birmania-1942-1945), con l'intento di portare a conoscenza crimini orribili che altrimenti sarebbero rimasti occultati.
Il libro però, non è una semplice descrizione di questi fatti storici ma è un drammatico spaccato di vita che l'autore ha vissuto in prima persona, come giovane prigioniero di guerra e che lo vede preda indifesa di crudeli aguzzini, tra atroci sevizie, privazioni, maltrattamenti e torture.
Eric Lomax ritorna a casa ma la sua orribile esperienza, che ha provocato indelebili ferite nell'anima e nella psiche, lo accompagnerà per cinquantanni, tanto da condizionarne e segnarne la vita e soprattutto la quotidianità accanto alla moglie, alla quale non aveva mai raccontato la natura dei suoi incubi e del suo disagio, fino a quando si rende conto di non poter più reprimere i dolorosi ricordi, la rabbia, l'istinto omicida, che è necessario affrontarli, spinto dal desiderio di vendetta ma anche da un pressante desiderio di guarigione interiore. Si mette così alla ricerca del suo principale aguzzino, un certo Nagase che riconoscerà in una foto sul ‘Japan Times’ e che incontrerà, insieme alla moglie, nel 1993 in Birmania.
Nel film vediamo Lomax intraprendere da solo il suo primo viaggio in Birmania e affrontare Nagase cogliendolo di sorpresa. Seguirà un secondo viaggio insieme alla moglie.
Nella realtà vi fu un unico viaggio preparato con cura per quasi due anni e i Lomax furono ospiti dei coniugi Nagase prima in Birmania, poi in Giappone, perchè questi ultimi vollero che gli ospiti prolungassero il viaggio in Giappone, per mostrare loro la propria casa e i ciliegi nel momento della massima fioritura.
L'incontro con Nagase ed i giorni trascorsi in sua compagnia hanno dell'incredibile, tanto da far scrivere a Lomax:
"Ero sicuro di aver ottenuto un risultato che non avrei mai immaginato. Se non fossi riuscito a dare un nome a uno degli uomini che mi avevano ferito, se non avessi scoperto che dietro quel volto c’era un’altra vita rovinata, gli incubi provenienti da un passato senza senso non sarebbero mai cessati. E avevo dimostrato a me stesso che ricordare non serve a nulla se si limita ad alimentare l’odio".
Aveva scoperto di avere di fronte a sé un uomo ormai profondamente cambiato, sinceramente pentito, che implorava il suo perdono per trovare pace: "(…) non vedevo più una ragione per punire Nagase rifiutandomi di perdonarlo".
Anche Lomax era cambiato, già al momento di intraprendere il viaggio aveva abbandonato ogni proposito di vendetta, non più prigioniero dell'odio verso i suoi torturatori e verso i Giapponesi in generale.
“Viene un momento in cui l’odio deve finire.”
QUI
Eric Lomax ritorna a casa ma la sua orribile esperienza, che ha provocato indelebili ferite nell'anima e nella psiche, lo accompagnerà per cinquantanni, tanto da condizionarne e segnarne la vita e soprattutto la quotidianità accanto alla moglie, alla quale non aveva mai raccontato la natura dei suoi incubi e del suo disagio, fino a quando si rende conto di non poter più reprimere i dolorosi ricordi, la rabbia, l'istinto omicida, che è necessario affrontarli, spinto dal desiderio di vendetta ma anche da un pressante desiderio di guarigione interiore. Si mette così alla ricerca del suo principale aguzzino, un certo Nagase che riconoscerà in una foto sul ‘Japan Times’ e che incontrerà, insieme alla moglie, nel 1993 in Birmania.
E. Lomax ai tempi della prigionia |
Nel film vediamo Lomax intraprendere da solo il suo primo viaggio in Birmania e affrontare Nagase cogliendolo di sorpresa. Seguirà un secondo viaggio insieme alla moglie.
Nella realtà vi fu un unico viaggio preparato con cura per quasi due anni e i Lomax furono ospiti dei coniugi Nagase prima in Birmania, poi in Giappone, perchè questi ultimi vollero che gli ospiti prolungassero il viaggio in Giappone, per mostrare loro la propria casa e i ciliegi nel momento della massima fioritura.
L'incontro con Nagase ed i giorni trascorsi in sua compagnia hanno dell'incredibile, tanto da far scrivere a Lomax:
"Ero sicuro di aver ottenuto un risultato che non avrei mai immaginato. Se non fossi riuscito a dare un nome a uno degli uomini che mi avevano ferito, se non avessi scoperto che dietro quel volto c’era un’altra vita rovinata, gli incubi provenienti da un passato senza senso non sarebbero mai cessati. E avevo dimostrato a me stesso che ricordare non serve a nulla se si limita ad alimentare l’odio".
Aveva scoperto di avere di fronte a sé un uomo ormai profondamente cambiato, sinceramente pentito, che implorava il suo perdono per trovare pace: "(…) non vedevo più una ragione per punire Nagase rifiutandomi di perdonarlo".
Anche Lomax era cambiato, già al momento di intraprendere il viaggio aveva abbandonato ogni proposito di vendetta, non più prigioniero dell'odio verso i suoi torturatori e verso i Giapponesi in generale.
“Viene un momento in cui l’odio deve finire.”
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