La teologia della liberazione, alla fine, ha vinto. Come il modernismo, condannato a suo tempo da Pio X, così la teologia della liberazione, benché (parzialmente) condannata da Giovani Paolo II, si è presa la rivincita più grande che potesse sognare: è divenuta il lievito di tutta la pastorale dell’attuale pontificato di Francesco; ispira tutta la liturgia e tutta la dottrina; è divenuta l’elemento centrale, senza il quale non si può nemmeno immaginare di parlare a nome della Chiesa, oggi. Ma è una vittoria legittima? E si fonda su un dato reale, oppure su un grande equivoco e su di una colossale mistificazione? La teologia della liberazione afferma l’opzione preferenziale per i poveri; non solo: essa dichiara, risolutamente, che Dio si identifica con i poveri. Benissimo; peccato che non si prenda il disturbo di spiegare e di vedere da vicino chi siano i poveri. Chi siano i poveri del Vangelo, ben s’intende, chi siano i poveri ai quali si rivolge Gesù Cristo, nelle sue azioni e nelle sue parabole e nei suoi insegnamenti; non chi sono i poveri secondo i teologi e i vescovi e i sacerdoti seguaci della teologia della liberazione. Sembrano la stessa cosa, invece sono due cose diverse: ecco il trucco. Perché se si dovesse scoprire che i poveri di cui parla Gesù non sono, o non sono esclusivamente, i poveri in senso materiale ed economico, e se si dovesse scoprire, del pari, che Egli non si è mai sognato di dire, o anche solo di pensare, come essi invece fermamente sostengono, che la povertà deve essere “sradicata” per poter affermare il regno di Dio sulla terra, anche per il non trascurabile dettaglio che Gesù ha detto e ribadito, in tutte la maniere possibili, che il suo Regno non è di questo mondo, allora tutto l’edificio dei teologi della liberazione cadrebbe, come un misero castello di carte, e verrebbe fuori la verità vera: che essi non parlano a nome del Vangelo di Gesù, quale noi lo conosciamo dalle Scritture e dalla Tradizione, bensì a nome di un vangelo (con la minuscola) tutto loro, laicista, immanentista, neomarxista, materialista, economicista e storicista; che il vangelo di cui si riempiono la bocca è una loro invenzione e che il Regno di Dio, di cui parlano incessantemente, è il paradiso dell’uguaglianza, intesa in senso politico e sociale, vale a dire esattamente il contrario di ciò che intendeva il nostro Signore Gesù Cristo.(...)
...è palese, cioè, il loro tentativo blasfemo di trasformare il Vangelo di Gesù, che è il Vangelo dell’amore rivolto a tutti gli uomini, in un vangelo analogo a quello di Marx, che predica la lotta di classe e quindi l’odio di classe, insomma di strumentalizzare la Parola di Gesù per farne un’arma da agitare contro le classi abbienti e ridurre la Buona Novella alla sola dimensione politico-sociale, snaturandola completamente.
Il fatto è che Gesù, quando parla dei poveri, non parla sempre e solo dei poveri in senso economico e materiale, ma anche di quell’altra povertà, non meno terribile, che è la lontananza da Dio (oppure, all’opposto, di quella povertà positiva che consiste nel farsi piccoli e umili davanti a Dio); e che non vuole affatto “sradicare” la povertà, sempre in senso economico, perché al centro del suo messaggio c’è la conversione interiore. Che, poi, la conversione interiore si traduca anche in un cambiamento nello stile di vita; che il vero seguace di Gesù impari a disprezzare le ricchezze, così come tutte le cose che possono allontanare da Dio, questo è un elemento consequenziale, ma non è il fine. Non solo. Se si pone l’accento esclusivamente sulla scelta preferenziale di Gesù per i “poveri”, si rischia di mitizzare e di idolatrare i poveri stessi, così come i ricchi mitizzano e idolatrano il denaro. Gesù non pensa che i poveri siano migliori dei ricchi solo perché hanno meno soldi; semmai, possono essere migliori perché non sono schiavi delle ricchezze (che non hanno) e quindi la loro anima è più aperta e disponibile ad accogliere la Lieta Novella.
...è palese, cioè, il loro tentativo blasfemo di trasformare il Vangelo di Gesù, che è il Vangelo dell’amore rivolto a tutti gli uomini, in un vangelo analogo a quello di Marx, che predica la lotta di classe e quindi l’odio di classe, insomma di strumentalizzare la Parola di Gesù per farne un’arma da agitare contro le classi abbienti e ridurre la Buona Novella alla sola dimensione politico-sociale, snaturandola completamente.
Il fatto è che Gesù, quando parla dei poveri, non parla sempre e solo dei poveri in senso economico e materiale, ma anche di quell’altra povertà, non meno terribile, che è la lontananza da Dio (oppure, all’opposto, di quella povertà positiva che consiste nel farsi piccoli e umili davanti a Dio); e che non vuole affatto “sradicare” la povertà, sempre in senso economico, perché al centro del suo messaggio c’è la conversione interiore. Che, poi, la conversione interiore si traduca anche in un cambiamento nello stile di vita; che il vero seguace di Gesù impari a disprezzare le ricchezze, così come tutte le cose che possono allontanare da Dio, questo è un elemento consequenziale, ma non è il fine. Non solo. Se si pone l’accento esclusivamente sulla scelta preferenziale di Gesù per i “poveri”, si rischia di mitizzare e di idolatrare i poveri stessi, così come i ricchi mitizzano e idolatrano il denaro. Gesù non pensa che i poveri siano migliori dei ricchi solo perché hanno meno soldi; semmai, possono essere migliori perché non sono schiavi delle ricchezze (che non hanno) e quindi la loro anima è più aperta e disponibile ad accogliere la Lieta Novella.
Scrive monsignor Giacomo Canobbio, presidente dell’Associazione teologi italiani dal 1995 al 2003 e professore di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, nel suo saggio Ermeneutiche latino-americane della liberazione (in: Hermeneutica, annuario di filosofia e teologia fondata da Italo Mancini, Nuova Serie, Brescia, Morcelliana Editrice, 2000, pp. 222-225):
"È qui che si incontra Dio, perché Egli ha mostrato di identificarsi con i poveri. Sono essi infatti il luogo privilegiato della manifestazione di Dio e insieme i portatori fondamentali della buona novella della liberazione. Chiunque voglia, pertanto, fare teologia della liberazione in modo adeguato deve “superare l’esame preliminare” dell’unione con i poveri (C. Boff, “Epistemologia”, in “Mysterium lib.”, cit., p. 108).
L’identificazione con i poveri indica l’atto con il quale Dio lega il suo destino storico con quello delle masse spogliate e umiliate, e non per un romanticismo della miseria, bensì per liberarle da essa. Si è già detto che la Teologia della liberazione nasce da un’esperienza spirituale vissuta all’interno del conflitto sociale e in solidarietà con gli assenti dalla storia. Tale esperienza ha come due poli: l’esperienza della povertà e l’esperienza della fede. La seconda conduce a scoprire nella condizione di povertà il volto di Cristo inteso come il servo sofferente, e ad accettarne la sfida. In tal senso si può dire che “la Tdl ha trovato la sua sorgente nella fede che vuole misurarsi con l’ingiustizia fatta ai poveri” (L. e C. Boff, “Come fare teologia della liberazione”; Cittadella, Assisi, 1986, p. 12s). D’altra parte, come richiamano ad ogni pie’ sospinto i teologi della liberazione, è stata l’esperienza della povertà che ha reso possibile leggere in modo nuovo la parola di Dio e la tradizione credente".
L’identificazione con i poveri indica l’atto con il quale Dio lega il suo destino storico con quello delle masse spogliate e umiliate, e non per un romanticismo della miseria, bensì per liberarle da essa. Si è già detto che la Teologia della liberazione nasce da un’esperienza spirituale vissuta all’interno del conflitto sociale e in solidarietà con gli assenti dalla storia. Tale esperienza ha come due poli: l’esperienza della povertà e l’esperienza della fede. La seconda conduce a scoprire nella condizione di povertà il volto di Cristo inteso come il servo sofferente, e ad accettarne la sfida. In tal senso si può dire che “la Tdl ha trovato la sua sorgente nella fede che vuole misurarsi con l’ingiustizia fatta ai poveri” (L. e C. Boff, “Come fare teologia della liberazione”; Cittadella, Assisi, 1986, p. 12s). D’altra parte, come richiamano ad ogni pie’ sospinto i teologi della liberazione, è stata l’esperienza della povertà che ha reso possibile leggere in modo nuovo la parola di Dio e la tradizione credente".
"La Teologia della liberazione nasce da un’esperienza spirituale vissuta all’interno del conflitto sociale". Certo: e proprio qui sta il male. La teologia non deve partire da un’esperienza vissuta all’interno della storia, perché, se così fosse, non troveremmo mai Dio, ma sempre e solo l’uomo, o, al massimo, l’idea che l’uomo si è fatta di Dio. Certo, i teologi della liberazione sono in buona compagnia. Gran parte della teologia del XX secolo, specialmente protestante, parte dall’assunzione di un punto di vista umano, tutto interno alla storia; e Karl Rahner con la sua svolta antropologica non ha fatto che ufficializzarlo, portando il modernismo, già scomunicato da Pio X, ai fasti del Concilio Vaticano II. Ma Rahner non è un teologo cattolico, è un teologo immanentista, modernista e irreligioso. Si dirà che il teologo, come uomo, non può che porsi all’interno della storia; vero: ma, come uomo di fede, può e deve chiedere a Dio di poter comprendere il senso soprannaturale della Rivelazione. Altrimenti, si riduce la Rivelazione a una cosa tutta umana: se ne fa, appunto, una delle tante ideologie di questo mondo, una versione vagamente religiosa della lotta di classe.
"È stata l’esperienza della povertà che ha reso possibile leggere in modo nuovo la parola di Dio e la tradizione credente?" Sì: ed per questo che la teologia della liberazione è fuori dal cattolicesimo. La teologia cattolica non dovrebbe neanche sognarsi di leggere in modo “nuovo” la parola di Dio. Che cosa significa una simile espressione, se non che essa tiene a battesimo una nuova versione del Vangelo? Il che è eretico, e non c’è bisogno di spiegare perché. È come se questi signori dicessero che, per millenovecento anni, la Chiesa cattolica non ha capito il vero senso della Rivelazione; ma, per fortuna, ora sono arrivati loro, e ogni cosa va finalmente al suo posto. Bravi, complimenti. Ma che cosa credono, che non ci fossero i poveri al tempo di Gesù? E che san Pietro, san Paolo, sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino, i Padri della Chiesa, i teologi, i vescovi, i sacerdoti, i papi che si sono succeduti fino al Vaticano II, fino a Pio XII, non avessero occhi per vedere i poveri, non avessero orecchi per udire il loro lamento? Certo che li avevano; ma avevano capito quello che i signori della teologia della liberazione non hanno capito, né mai capiranno: che Gesù non è venuto affatto a sradicare la povertà, anzi, ha detto chiaramente che avremo sempre i poveri fra noi, mentre Lui lo abbiamo avuto per una volta sola.
"La situazione di povertà diventa luogo nel quale si legge e, finalmente, si comprende come sia Dio e si comprende cosa significhi amare Dio e il prossimo?" Niente affatto. Oltre all’assurdità di quel “finalmente”, come se nessuno avesse capito chi è Dio prima della teologia della liberazione, resta l’equivoco sul concetto di povertà: sì, per capire chi è Dio, bisogna essere poveri; ma non in senso economico, bensì in senso spirituale. Altrimenti, si cadrebbe in una doppia bestemmia: che nessun ricco capirà mai chi è Dio, e che tutti i poveri, per il solo fatto di essere poveri, lo capiscono senz’altro.
E non è affatto provato che Gesù è venuto a prendere partito per i poveri e a sradicare la loro oppressione. Niente affatto. È venuto a combattere contro il peccato e la morte, e non a guidare rivoluzioni sociali: perché la sola rivoluzione predicata da Gesù è quella dell’uomo che accetta di lasciarsi trasformare dal Vangelo......
L'intero articolo QUI
E non è affatto provato che Gesù è venuto a prendere partito per i poveri e a sradicare la loro oppressione. Niente affatto. È venuto a combattere contro il peccato e la morte, e non a guidare rivoluzioni sociali: perché la sola rivoluzione predicata da Gesù è quella dell’uomo che accetta di lasciarsi trasformare dal Vangelo......
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L'affermazione che la teologia della liberazione è divenuta il lievito di tutta la pastorale dell’attuale pontificato di Francesco; ispira tutta la liturgia e tutta la dottrina; è divenuta l’elemento centrale, senza il quale non si può nemmeno immaginare di parlare a nome della Chiesa, oggi, sembra un po 'rischioso. L'articolo è molto interessante in tutto ciò che espone ma presenta l'occasione per chiarire molte delle sue affermazioni che in un commento di un blog è difficile da raggiungere. Ad ogni modo, mi è piaciuto il riflesso che viene fatto in esso. Non credo che una teologia della liberazione sia rinata nei termini in cui è nata. Dopo i vari casi di corruzione e di peccati scoperti in questo secolo nella Chiesa, è stato preso una maggiore consapevolezza di riprendere il Vangelo nella sua essenza più umana in questa società edonistica. È un papato di controversie che richiede continuamente spiegazioni e che ha bisogno di un ampio sguardo.Grazie, Martina. Un grande abbraccio
RispondiEliminaCaro Angel, grazie per il tuo commento. Certo è un articolo con un giudizio duro su questo pontificato, ma non possiamo nascondere il fatto che sia un pontificato pieno di ambiguità e di problematiche legate alla dottrina ed alla pastorale, causa di confusione e di sconforto.
RispondiEliminaUn abbraccio forte anche a te!
totalmente d'accordo con te
EliminaGrazie caro Angel, per me la tua opinione è molto importante!
RispondiEliminaLoved reading this thannk you
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